mercoledì 7 novembre 2007

Tosto e Cozza, il fallimento genovese di due compaesani

Errare humanum est sostenevano a ragione i Romani. Se nella vita - si sa - errare è quasi all'ordine del giorno e non pare impresa ardua farsi perdonare, nel calcio il margine di fallimento è forse ancora più ampio e più complicato risulta risollevarsi proprio dove si ha riscosso scarso successo. Sbagliare una stagione, incappare in un'annata-no e deludere, disattendere ogni aspettativa e venire bollato come “bidone”. Ne sanno qualcosa Vittorio Tosto da Marina di Cariati e Francesco Cozza da Cariati, due dei più grandi fiaschi della storia recente di Sampdoria e Genoa, due che, all'ombra della Lanterna, vissero i giorni peggiori delle proprie carriere. Nati a distanza di sei mesi - entrambi del '74: il primo di giugno, il secondo di gennaio - e di due minuti d'auto nella provincia cosentina affacciata sullo Ionio, sbarcarono rispettivamente in blucerchiato e rossoblù presentati in pompa magna ed accolti dagli onori della piazza, salvo poi ripartire mestamente qualche tempo dopo, alla volta di altri lidi.

Prelevato dalla Salernitana nell'estate del '99, l'allora venticinquenne Vittorio Tosto, professione terzino sinistro, venne presentato come uno degli esterni con mansioni difensive emergenti del panorama calcistico italico, fiore all'occhiello della campagna di rafforzamento dell'appena retrocessa formazione di Enrico Mantovani ed elemento di spicco di quello che sarebbe dovuto divenire il “nuovo ciclo” doriano targato Giampiero Ventura. Con indosso la maglia blucerchiata numero 5 però - nelle 23 partite tra campionato e Coppa Italia che l'alternanza con Pesaresi gli consentì di disputare - il mancino calabrese fu bocciato senza appello. Deluse, Tosto. Spento, scarico, quasi spaesato, assai poco incisivo e mai decisivo. Deluse la società, deluse i tifosi, deluse Ventura prima ed il suo attuale tecnico empolese Gigi Cagni poi, il quale, agli albori del 2000-01, già a partire dal ritiro valdostano di Aymaville, gli preferì il navigato Manighetti, lasciando Vittorio libero di emigrare verso Piacenza.

Libero di ricongiungersi, a Siena, con Gigi De Canio fu lasciato anche Francesco Ciccio Cozza nel gennaio del 2005. Il tecnico lucano, che fino all'agosto 2004 aveva guidato il Genoa, lo aveva fortemente voluto in rossoblù, sostenendo con calore la candidatura del rifinitore quale fulcro dei futuri schemi offensivi del Grifone, una corazzata costruita per la promozione. Il presidente Preziosi accontentò il suo mister: l'ormai trentenne “pupillo” Cozza fu acquisito dalla Reggina - di cui era bandiera e capitano - non certo per pochi spiccioli. Non fece i conti, il Joker, sull'esonero che di lì a poco avrebbe sorpreso lo stesso De Canio, all'indomani della sconfitta in Coppa Italia contro il Lumezzane. Cozza, la punta di diamante della campagna di rafforzamento del Grifone, si ritrovò infatti orfano del proprio mentore; e col successore Serse Cosmi la vita si rivelò assai dura. Oltre all'equivoco sulla collocazione tattica del fantasista calabrese, ci si mise di mezzo una serie illimitata di guai fisici: più che al “Pio”, Ciccio gravitava dalle parti del “Baluardo”. Inevitabile, dopo 5 misere e opache apparizioni, il divorzio consensuale.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 7 novembre 2007)

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