domenica 30 marzo 2008

Promossi & Bocciati di Empoli-Sampdoria

Il silenzio del “Castellani”: All’area di servizio Crocetta Nord, la domenica prende una piega tragica. Nella pianura del Valdarno inferiore, dove tifosi padroni di casa e ospiti sono entrambi gemellati con quelli parmensi, il clima non può essere che mesto. Niente cori, niente striscioni né bandiere: dolore, dispiacere, rabbia uniscono oltre il colore della sciarpa. Nessun voto, ne avremo fatto volentieri a meno

Sammarco: Quinto gol in campionato, record personale di marcature più che bissato e stagione migliore di sempre in massima serie. Cosa chiedere di più al centrocampista lariano, uno che al suo arrivo al Doria rintracciò nel segnare poco il limite più vistoso del proprio curriculum? Si riprende il ruolo che più gli è consono e dimostra che da lì, dalla linea mediana, non conviene più levarlo. Sta riacquistando inoltre la brillantezza dei giorni migliori. Sarà prezioso. Voto 7+

Accardi: Specchiarsi troppo può far male. Lo ha compreso, Pietro il Grande: elmetto e chiave inglese - il più delle volte - si rivelano più efficaci delle punte di fioretto. Concentrato, insuperabile manco fosse un tonno da 160 grammi in olio d’oliva. Dopo il mezzo passo falso del sabato prepasquale, torna agli abituali, altissimi livelli di sempre. Voto 7

Giovinco: O gli fai fallo o la palla dai piedi non gliela levi. Ancora una volta, è la pimpante Formica Atomica a guadagnarsi la palma di miglior empolese di giornata. Predica nel deserto: è l’unico a tenere in allerta la retroguardia biancocerchiata. Solitudine disarmante per una squadra sempre più a rischio B, squadra che non può far altro che aggrapparsi ai suoi minuscoli scarpini. Voto 6,5

Delvecchio: Gioca a testa a alta, difende il pallone e sembra quasi prenderti in giro. Tanto sfrontato quanto generoso, il Sean Penn della Valle dell’Ofanto si sta guadagnando a suon di buone prestazioni un posto fisso nell’undici mazzarriano. Giocando - assai bene - da centravanti improvvisato. Voto 6,5

Abate&Antonini: Corrono, corrono e ancora corrono. Ma non vanno da nessuna parte. Voto 6--

Vannucchi: Vorrei ma non posso… L’Ighli tutto classe e sveltezza sembra un lontano parente di quello attuale, compassato e inconcludente. Capitano emblema di un Empoli che c’era e adesso non c’è più. Voto 5

Marzoratti: Ieri sera, al “Carlo Felice” di Genova, un gran galà per festeggiare i settantacinque anni di Paolo Villaggio. Oggi, al “Castellani”, il riconoscente Lino ha voluto onorarne il personaggio più celebre: la sua goffa autorete è degna del miglior Fantozzi ragionier Ugo, matricola 1001/bis dell'Ufficio sinistri. Malesani non lo crocifigge in sala mensa, ma lo sostituisce dopo nemmeno mezz’ora. Voto 4

Federico Berlingheri
(Goal.com, 30 marzo 2008)

Calzolaio fa le scarpe al Genoa: al Doria anche il baby-Derby di ritorno

GENOVA - Il rischio c’era, ma è stato scongiurato. Il rischio era quello di trovarsi davanti due squadre scariche: la Sampdoria con la mente alla finale di Coppa Italia di giovedì prossimo contro l’Atalanta, il Genoa con le gambe molli perché reduce dal torneo saudita di Abu Dhabi. Così non è stato nell'assai combattuto ritorno del Derby Primavera che ha visto nuovamente trionfare - con lo stesso punteggio dell'andata - i rimaneggiati blucerchiati di Fulvio Pea. Uno a zero. Nella bolgia della “Sciorba” a decidere è Luca Calzolaio, mestiere difensore, numero 2 sulla schiena, al primo gol in questo campionato. Gol, a dire il vero, tanto beffardo quanto casuale, frutto di una deviazione fortuita, giunto al 70’ su un vellutato corner mancino di Bianco.

Sugli spalti il clima è da stracittadina dei grandi: lato monte è rossoblù; lato Bisagno blucerchiato. Cori, bandiere, fumogeni scaldano l'atmosfera e - fin troppo - i contendenti. A fine gara, le statistiche parleranno chiaro: saranno due ammoniti per la Samp, cinque per il Grifone, più un espulso. Già perché Bianco, al 35’, costringe Ledesma a stenderlo sulla corsia di sinistra: fallaccio e, secondo il fischietto tarantino Cervellera, per il delantero di Quilmes è rosso diretto. Nonostante l’inferiorità numerica, i grifoncini di Luca Chiappino, rinforzati da due fuoriquota - il centrale Ghinassi e il paulista Wilson, oggetto misterioso del mercato di gennaio sbarcato dal Corinthians - inchiodano i blucerchiati sul pari. E in due occasioni, al 40’ e al 44’, vanno addirittura vicini al vantaggio con Martucci e Amico. In precedenza Arnulfo, per l’occasione capitano doriano, aveva sfiorato il palo di testa (9’); il camerunese rossoblù Parfait aveva alzato troppo la mira con un tiro da fuori (23’); mentre l'euclideo Poli, dopo aver scartato mezza difesa genoana, aveva concluso su Manzoni (34’).

La ripresa ci mette poco a scaldarsi. Al 50’ ci pensa Wilson a mettere in apprensione Sembroni, senza incidere però al cospetto del verdecerchiato Fiorillo. Ora i tiri in porta scarseggiano. Si agisce quasi esclusivamente nel marasma di metà-campo ed è lì che l'entrata di Francesco Beppe Signori, in vece di un Gulan non troppo a proprio agio, cambia l’inerzia della gara. Il Genoa non passa più, s'incattivisce e, al 70’, ne approfittano i blucerchiati - come detto - con Calzolaio. La gioia del lato Bisagno pare incontenibile, lo scoramento rossoblù è tutto nell’intervento di Amico, non proprio amichevole, sul neoentrato Marilungo. Ci stava il rosso, ma è solo giallo. Ci stava il pari, invece, a tre giri d’orologio dal termine, ma un altro neoentrato, Di Nunzio, sprecava alto un assist al bacio del pimpante Wilson. Poi, più nulla, neanche dopo l’abbondante recupero. In trionfo va quindi, ancora, il Doria, primo nel girone A, con due lunghezze in più della Juventus (impegnata quest'oggi con il Piacenza), e fiducioso finalista di Coppa Italia.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 30 marzo 2008)

Campagnolo e Makinwa nel valzer degli ex

Scarpi, De Rosa, Ale Lucarelli, Leon, Borriello. Una squadra, questa, che a calcio a cinque farebbe sfracelli; una squadra, questa, composta da soli genoani i quali, in un passato più o meno lontano, hanno indossato la maglia amaranto della Reggina. Se, come visto, da una parte la schiera di ex è particolarmente nutrita, anche dall’altra non si scherza: Ciccio Cozza, Maurizio Lanzaro, Andrea Campagnolo e Ayodele Stephen Makinwa torneranno a Marassi dopo essere transitati, senza troppe fortune, in rossoblù. Se del primo, Cozza, si è già parlato all’andata e del secondo, Lanzaro - altro fugace migrante di un Genoa 2005-06 mai visto in gare ufficiali -, c’è ben poco da dire, per gli ultimi due va spesa qualche parola in più.

Poche - ad onor del vero - per il portiere, vicentino di Rosà, acquistato dal Grifone di Scerni nell’estate del 2000. Dopo due anni da terzo alla Roma, alle spalle di Konsel e Chimenti prima, di Antonioli e Lupatelli poi, Campagnolo, arrivò, secondo i piani di mister Bolchi, per fare il dodicesimo dell’esperto Fabrizio Lorieri. Così fu. E, malgrado l’esonero di Maciste intorno ai primi d’ottobre, i suoi successori, le coppie Carboni-Magni e Scoglio-Onofri, non mutarono le scelte tra i pali. Ci pensò invece Edy Reja, subentrato nella stagione successiva allo stesso Professore e all’ex capitano ’70-80, a ribaltare le gerarchie in porta; ma solo per quattro settimane. L’odierno reggino Andrea esordì in rossoblù il 3 febbraio 2002 (sconfitta a Como per 2-1), sotto la Nord la domenica successiva (Genoa-Siena 1-1), e, dopo essere rimasto imbattuto nelle trasferta di Messina (0-0), disputò la quarta e ultima partita col Grifo il 24 febbraio. Genoa-Ternana finì con un pesante 0-2 e lì, stante pure il ritorno di Onofri al timone della squadra, si concluse la breve parentesi genoana di Campagnolo, ceduto a fine anno al Vicenza.

Nello scorcio di campionato 2004-05, al giovane nigeriano Makinwa, venne data invece qualche occasione in più. Le sue fiches, l’attaccante di Lagos, se le giocò nel migliore dei modi. Era dal 2001 che il presidente Preziosi l’aveva inserito nella propria orbita, acquistandolo in comproprietà dalla Reggiana (che lo aveva portato in Italia non ancora maggiorenne). Ma l’ancor tenera età e la scarsa esperienza fecero di Makinwa una sorta di pacco postale: a Como nel 2001-02, spedito di nuovo a Reggio Emilia nel 2003-04, tornato in riva al Lario nel 2003-04 e mandato a Modena nel gennaio 2004. Al termine dell’esperienza emiliana, il Joker, divenuto nel frattempo proprietario del Genoa, lo volle fortemente aggregare alla corte di De Canio. Fatto fuori il tecnico lucano al termine di una Coppa Italia semi-disastrosa - in cui il numero 26 andò comunque a segno contro l’Empoli -, Serse Cosmi, nonostante avesse a disposizione un parco punte di altissimo lignaggio - il Principe Milito, il Barone Stellone e Nicola Caccia -, puntò forte su quel gioiellino d’ebano classe '83. Lo schierò sì titolare in sole 5 circostanze sulle 18 complessive, ma fu ugualmente ripagato: 6 reti - due delle quali decisive contro Treviso e Arezzo -, una rapidità incredibile e un fisico invidiabile. Makinwa impressionò - positivamente - tutti, pubblico e addetti ai lavori. Si capisce pertanto perché il tecnico perugino, nel gennaio 2005, si oppose in maniera categorica ad una sua cessione - in comproprietà - all’Atalanta, cessione che, ufficializzata, minò irreversibilmente i già difficili rapporti tra lo stesso Cosmi e il presidente Preziosi e separò, in via definitiva, le strade del Grifone e del mai più decisivo talento nigeriano, passato poi al Palermo, alla Lazio e, due mesi or sono, proprio alla Reggina.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 30 marzo 2008)

giovedì 27 marzo 2008

Antonini e Abate, due che "Monzon" bocciò

Nel calcio, la fiducia dell’ambiente e dell’allenatore in particolare costituiscono pilastri fondamentali su cui si poggia qualunque calciatore. Il sentirsi importante, l’essere tenuto in considerazione condizionano non solo le prestazioni, il rendimento di un’intera stagione, ma addirittura la carriera anche di grandi campioni. Figuriamoci come si rivelò difficile per due sbarbatelli come lo erano gli odierni empolesi Antonini e Abate sbarcare alla Sampdoria e non avere quasi mai una chance per mettersi in mostra. Merito - si fa per dire - di Walter Novellino, non proprio un avanguardista in tema di lanciare giovani.

Nato il 4 agosto dell’82, un Antonini non ancora ventunenne venne acquistato, nel giugno 2003, in compartecipazione dal Milan. Il longilineo e pimpante centrocampista esterno - destro o sinistro faceva, e fa ancora, poca differenza -, promessa di scuola rossonera e reduce da una discreta stagione cadetta nell’Ancona di Gigi Simoni, fu il primo acquisto ufficiale del Doria nuovamente in massima serie dopo quattro, lunghi anni d’assenza. Oltre al meneghino Luca, però, col passare dei giorni, quella campagna rafforzamenti fasciò di blucerchiato un quartetto di potenziali pari ruolo: Aimo Diana, Cristian Zenoni, Cristiano Doni e, a gennaio, Biagio Pagano andarono così a rimpinguare le corsie laterali di metà campo già coperte con Ciccio Pedone, Gile Zivkovic e Fabian Valtolina. Si capisce perché, a giochi fatti, le presenze racimolate dal pur duttile Antonini in campionato furono soltanto 3 (esordio a Perugia, la notte di Santa Lucia del 2003, nel rovesciata-day di Francesco Flachi), 4 invece (con un gol, un po’ fortunoso, segnato alla Pro Patria) quelle in Coppa Italia. Zero fiducia, poco campo, tanta panca: questo, in soldoni, il bilancio dell’ex numero 82 doriano, mandato in prestito a Modena (2004), Pescara (gennaio 2005), Arezzo (2005-06) e infine a Siena (2006-07), prima di essere rispedito, la scorsa estate, al mittente Milan, che, a sua volta, lo cedette all’Empoli.

Percorso simile, da Milanello a Monteboro (centro sportivo empolese), passando per Bogliasco, toccò anche ad Ignazio Abate, la più fugace meteora dell’epoca garroniana. Da prestito milanista, il figlio di Beniamino, ex portiere di Inter e Cagliari, raggiunse il ritiro dolomitico di Moena il 20 luglio del 2005. Classe 1986, quando s’aggregò alla truppa di Novellino, smaniosa di esordire in Coppa Uefa, non aveva ancora compiuto diciannove anni. Gel in testa, polo gialla indosso, neanche il tempo di presentarsi in conferenza stampa al “Benatti” che la bionda e rapida ala destra di Sant’Agata de’ Goti, provincia di Benevento, scese in campo contro i Monti Pallidi. Segnò due gol: nel 15-0 finale contarono ben poco. Le seguenti amichevoli agostane (a Lisbona con lo Sporting, in casa del Chiasso e del Legnano e al “Mugnaini” con la Sammargheritese) non entusiasmarono né convinsero Monzon. Troppo acerbo, il ragazzo, nonostante il curriculum parlasse già di presenze fisse nelle Nazionali giovanili e 32 gettoni (e due reti) in C1 con la maglia del Napoli. E così, il 31 agosto, giorno di chiusura del calciomercato estivo, allorché capitò l’occasione di riportare per la terza volta nel giro di tre anni Gasbarroni in blucerchiato, Beppe Marotta non ci pensò due volte: senza neanche il tempo di disputare un incontro ufficiale, al giovane Abate fu dato il via libera per Piacenza, biglietto di sola andata.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 27 marzo 2008)

martedì 25 marzo 2008

Doppiopesismo all'italiana

Leggo che, questo pomeriggio, il giudice sportivo dottor Gianpaolo Tosel - assistito da Stefania Ginesio e dal rappresentate A.I.A. Eugenio Tenneriello - ha squalificato per una giornata quattordici calciatori. Tra questi Simone Perrotta. Si nota nel comunicato ufficiale dal sito della Lega Calcio: “Perrotta Simone (Roma): per essersi reso responsabile di un fallo grave di giuoco”. A parte l’espressione “giuoco” - suvvia: siamo nel 2008! -, non trovate qualcosa di strano o di anomalo in questa motivazione?

Io sì: l’omissione della pallonata rifilata dallo stesso Perrotta sul volto dell’empolese Antonini, subito dopo l’espulsione comminata da Gava. Per quale motivo, quindi, al giudice sportivo e ai suoi fidi collaboratori è sfuggito un gesto simile, gesto chiaramente antisportivo e pertanto da sanzionare con uno stop di almeno due turni? Il motivo - ahimé - non lo si comprende. Così come non si riesce a capire il pressoché totale - e volontario - silenzio dei media nazionali di fronte ad immagini televisive assai evidenti.

Allora, a mente fredda, viene da chiedersi: e se lo avesse fatto Antonio Cassano? Sedia elettrica, vergine di Norimberga o puntura letale? Nessuno - dico, nessuno -, a differenza della vera e propria gogna mediatica riservata al Peter Pan blucerchiato, ha stigmatizzato il comportamento di Perrotta, né tanto meno ha suggerito di non convocarlo in Nazionale o consigliato di escluderlo dalla lista dei ventitré ad Euro 2008.

Ecco cosa diventa difficile sopportare: il doppiopesismo dell’opinione pubblica e, ancora di più, delle istituzioni sportive. Siamo in Italia, d’accordo, il paese del sospetto, degli scandali e delle contraddizioni, ma tutto ciò non deve costituire un alibi, una giustificazione alle disfunzioni e alle irregolarità. Sarebbe giunta finalmente l’ora, anche in Italia, di uniformare giudizi e punizioni, a partire proprio dal mondo del calcio. È poi così complicato, dottor Gianpaolo Tosel?

Federico Berlingheri

sabato 22 marzo 2008

Promossi & Bocciati di Sampdoria-Cagliari

Conti: Anema e core della mediana rossoblù. Oltre a far girare la squadra con la solita maestria, il figlio d’arte Daniele crea e distrugge, ragiona e fa legna, e colpisce pure un palo su una girata spettacolare. Regista completo, merce rara ai giorni nostri. Voto 7,5

Gastaldello: Il distratto speaker di Marassi gli attribuisce il gol del pareggio, un gol che il numero 28 blucerchiato - il migliore oggi dei suoi - avrebbe di sicuro meritato. Roccioso, gagliardo e carico al punto giusto, il Clint Eastwood della Bassa Padovana, dai contrasti, esce sempre a testa alta e palla al piede. Da vero cowboy, duro ed efficace. Voto 7

Foggia: Rispolverato titolare per le concomitanti assenze di Fini e Parola, e preferito a Cossu, Pasqualino riesce a far la differenza. Parte in sordina, il piccolo partenopeo, ma, con l’andare dei minuti, prende campo e vivacità. Il primo centro su azione di questo campionato - gli altri quattro li aveva segnati tutti dagli undici metri - è un misto di astuzia, classe e rapidità. Voto 7

Kalu: Zanzarina pimpante e fastidiosa. Il suo ingresso sul prato “verde” - ehm, si fa per dire - crea qualche grattacapo in più alla retroguardia isolana. Voto 6,5

Canini: Gioca discretamente, come d’altronde il resto dei compagni di reparto. La dormita durante il primo minuto di recupero costa però cara, carissima alla truppa di Ballardini. Voto 5,5

Accardi: A volte, la troppa sicurezza può giocare brutti scherzi. Ne sa qualcosa Pietro - di solito il Grande -, uno che non molla mai un centimetro, oggi quasi irriconoscibile. Si riscatta, in parte, nel finale, servendo a Franceschini (meno ardimentoso del solito. Voto 6-) l’assist per il pari. Voto 5+

La mossa-Del Grosso: Come arginare la Furia vicentina Christian Maggio nel momento migliore della sua carriera? “Semplice - avrà pensato Ballardini -, metto due terzini, uno dietro l’altro, e ne limiterò di sicuro il raggio d’azione”. E così è stato: scelta azzeccatissima. Voto 8

Maggio: La coppia Agostini-Del Grosso lo disinnesca nelle sue sortite offensive. Braccato in avanti, dietro non va meglio se è vero che regala ai sardi lo 0-1 scordandosi di Foggia. Voto 4,5

Sammarco: Già non è al top della forma, in più se lo si schiera seconda punta… Gli manca la brillantezza dei giorni migliori e il ruolo avanzato non lo aiuta di certo. Voto 4

Federico Berlingheri
(Goal.com, 22 marzo 2008)

La vitaccia del "Pretino" di Castelfranco

Di quel suo Genoa fantasma, in queste pagine, se ne è già trattato in un sacco di occasioni. Di lui, però, non ancora, e la sfida di questo pomeriggio al “Renzo Barbera” sembrerebbe - Zamparini permettendo… - l’occasione giusta per farlo. Palermo contro Genoa significa anche, per la prima volta dalla terribile canicola dell’estate del 2005, Francesco Guidolin contro il suo passato, il suo pur breve passato rossoblù. Neanche due mesi di convivenza, per essere precisi.

Era il tardo pomeriggio del 22 giugno quando, in quel di Milano, il presidente Enrico Preziosi fece firmare al mister veneto, fresco fresco di sesto posto e storica qualificazione Uefa coi rosanero palermitani, un oneroso contratto biennale. L’ormai ex Serse Cosmi si era congedato da qualche ora dalla panchina rossoblù, mentre il Grifone, appena promosso in massima serie, si barcamenava già nell’occhio del ciclone per il fattaccio Genoa-Venezia. Non si curò troppo della situazione contingente, Guidolin: il giorno dopo la fumata bianca, passeggiava già per il centro sportivo di Pegli, al fianco dello stesso presidente e del diggì Capozucca. Al “Signorini” centinaia di tifosi ma, sugli spalti, non si respirava affatto un’atmosfera di festa.

Un Joker incazzato nero - parole sue - introdusse, in aperta polemica con Cosmi, il tecnico della scuderia Gea sottolineandone l’attitudine ad allenare soltanto i giocatori. Dipinto da molti come falso modesto, il Pretino di Castelfranco, dal canto suo, si presentò con l’etichetta di novello Bagnoli (mister che, all’Hellas Verona, lo formò come uomo e come calciatore) e, nonostante la pendente mazzata della giustizia sportiva, non poté che dichiararsi sereno in chiave futura. “Sono fiducioso - spiegò ai cronisti accorsi a Villa Rostan -; mi trovo qui perché ho ricevuto ampie assicurazioni dalla società”.

In questo senso, gli ingaggi di Christian Abbiati, Maurizio Lanzaro, Marjan Markovic, Alessandro Parisi, Diego De Ascentis ed Ezequiel Lavezzi, la permanenza del Principe Milito e l’imminente arrivo di André Oojier parlavano chiaro e sembravano costituire ulteriori, importanti garanzie. La mano pesante del Palazzo andò però a turbare ulteriormente il ritiro tirolese di Neustift. Era ormai metà luglio e s’incominciò a parlare di Serie C.

Guidolin, il suo staff e il nuovo gruppo genoano proseguirono la preparazione in val Stubai lontano dai processi, dai clamori della stampa e dai tumulti cittadini, ma qualcosa scricchiolava già. Nelle pagine dei quotidiani di quei giorni pochi schemi, tanta cronaca giudiziaria: sentenze, dibattimenti e ricorsi si rincorsero fino al funesto 20 di agosto. Il Genoa finiva definitivamente in terza serie; Francesco Guidolin, senza mai allenare una partita ufficiale, concludeva sconsolato la sua avventura alla guida del Vecchio Balordo e dava inizio ad una diaspora senza precedenti.

“È la vita” sussurrò nell’ultima intervista rilasciata col Grifo sul cuore. Vita, da quel momento in avanti, tutt’altro che tranquilla, che, in modo beffardo, tra esoneri e ritorni di fiamma, lo ha condotto sulla panchina del Palermo zampariniano in altre tre occasioni; vita che, oggi - rosanero forse per l’ultima volta - lo rimetterà di fronte al Genoa, casa sua per neanche tre mesi in quella movimentata estate 2005.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 22 marzo 2008)

Giovanni Tedesco e le sue scelte del cuore

Sarà ricordato come il capitano della promozione negata. Sarà ricordato come il condottiero che non abbandonò il vascello che stava affondando nei torbidi mari della terza serie. Durò soltanto lo spazio di due anni la sua convivenza in rossoblù, ma al Genoa Giovanni Tedesco riuscì comunque ad entrare nei cuori della gente. Dal gennaio 2004 al gennaio 2006, 79 presenze e 9 gol, tanta corsa e dedizione, quantità abbinata a qualità. Il piccolo mediano palermitano era un tipo tosto, da Grifo, uno di quelli che si fanno in quattro per la squadra, uno di quelli che lottano e non mollano mai. Uno di quelli che il pubblico fa presto ad eleggere proprio beniamino.

Eppure, acquistato dopo cinque annate ad alti livelli, in massima serie, nel Perugia, l'ex leader e capitano degli umbri dei Gaucci faticò non poco ad inserirsi negli schemi dell'allora mister Gigi De Canio. Il Genoa navigava in brutte acque: servivano esperienza e carisma per tirarsi fuori dalle secche della zona retrocessione. Tedesco, immediatamente nominato capitano, diede sì il proprio autorevole contributo ma non decisivo come ci si aspettava.

Meglio, senza possibilità di smentita, la stagione successiva quando, saltato De Canio a fine agosto, sulla panchina del Grifone si sedette Serse Cosmi, suo maestro ai tempi di Perugia. Il ritrovato connubio, anche all'ombra della Lanterna, si rivelò felice - almeno fino alla caldissima estate del 2005 -; Giovanni conservò la fascia di capitano e, attivissimo factotum, prese per mano quel Genoa in rotta verso il Paradiso. Sette centri - memorabili quegli inserimenti senza palla sul secondo palo che non lasciavano scampo al portiere avversario - nei primi cinque mesi di campionato. Roba da record per un centrocampista.

Lo strepitoso girone d'andata su livelli stratosferici lasciò però campo ad un ritorno ai limiti della sufficienza: il rendimento del navigato numero 4, anche a causa di una condizione fisica non proprio invidiabile e qualche acciacco di troppo, andò di pari passo con quello della squadra, che arrivò spompata e scarica all'epilogo stagionale.

La Serie A, conquistata comunque l'11 giugno con il 3-2 sullo spacciato Venezia, svanì ufficialmente il 27 luglio. I ricorsi e gli appelli che si susseguirono nei mesi a venire risultarono vani. Il Genoa era in C1. Nel fuggi fuggi generale di Neustift, capitan Tedesco e Marco Rossi - che a gennaio ne raccolse l'eredità - scelsero la strada del cuore. Il mediano siculo restò l'anima di quel Grifone offeso e ferito fino a quando, proprio durante gli ultimi istanti della sessione invernale del calciomercato, si fece avanti l'amato Palermo di Zamparini, ancora in corsa in Coppa Uefa. Il richiamo di casa e dell'Europa divennero irresistibili. A quasi 34 anni suonati quell'interessamento rosanero si materializzò come un ultimo treno.

Così, tra le lacrime di Pegli, il piccolo condottiero partì. “Questione di cuore” si disse e si scrisse. E i genoani, che di cuori grandi così se ne intendono, loro malgrado compresero, ringraziandolo e augurandogli buona sorte.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 21 marzo 2008)

venerdì 21 marzo 2008

Leader Palombo: "La Champions ci stuzzica, ma occhio al Cagliari"

BOGLIASCO (GE) - Tre successi di fila, l’ultimo giunto peraltro sul campo dei Campioni d’Europa e del Mondo in carica, la zona Uefa consolidata, quella Champions a sole cinque lunghezze. Alla Sampdoria, l’atmosfera pare proprio di quelle migliori. E il sorriso di Angelo Palombo è di quelli che contagiano. Sale lui, tra battute e strette di mano, in sala stampa al “Mugnaini” di Bogliasco. Domani c’è il Cagliari, fanalino di coda del campionato ma ancora in piena lotta per la salvezza, sua vittima preferita (“Un gol domani? Ci metterei la firma…”). Attenzione però a sottovalutare i rossoblù, soprattutto dopo la sbornia meneghina di mercoledì. “Sarà una partita difficilissima - ammonisce Angelo -, loro sono in gran forma verranno qui col coltello fra i denti e bisogna stare attenti. Stanno bene e anche sotto l’aspetto fisico ci daranno del filo da torcere. E poi hanno un ottimo attacco, soprattutto in prospettiva futura”.

A proposito di futuro, il Doria è in piena corsa per l’Europa. Le fantasie cominciano a volare libere: Uefa, addirittura Champions. In tal senso, non si nasconde, il numero 17 blucerchiato: “Siamo lì, stiamo facendo bene. Certo, raggiungere la Champions sarebbe bellissimo. È un’idea che ci stuzzica e ce la metteremo tutta fino alla fine, anche se sarà difficile”.

Più semplice, forse, conquistare un posto nei ventitré azzurri per l’Europeo austroelveltico. Mercoledì Donadoni era in tribuna a San Siro… “Spero si sia divertito - confessa sorridendo Palombo -, mi auguro che sia contento di quello che sto facendo e possa avere un pensiero anche per me. Io ce la sto mettendo tutta. Non fare parte della Nazionale sarebbe senza dubbio una delusione. So che c’è un gruppo solido, quello del Mondiale, la concorrenza è tanta ma spero di mettere in difficoltà il mister”.

Le difficoltà - si diceva - avrebbe dovute incontrarle il Doria senza Cassano e decimato da infortuni e squalifiche. Tre vittorie di fila sono lì a smentirlo. E il mediano di Ferentino conferma: “Siamo una squadra quadrata, al di là delle assenze. Bonazzoli, ad esempio, sta tornando ai suoi livelli, mentre Delvecchio si sta sacrificando in un ruolo non suo e sta facendo benissimo, peccato che domani sia squalificato. Certo, Antonio è un grande, e quando tornerà sarà il nostro valore aggiunto, ma abbiamo dimostrato di essere un bel gruppo anche dovendo fare i conti con l’emergenza”.

Di questo gruppo, Angelo Palombo è sempre più il leader. “Con gli anni l’esperienza aumenta e poi il ruolo aiuta. È un ruolo carismatico, me lo sento addosso: devo far girare la squadra e quindi ho maggiori responsabilità, che mi aiutano a far bene”.

Intanto, per Walter Mazzarri, arrivano buone notizie dall’infermeria: Bonazzoli e Volpi, usciti malconci dalla sfida col Milan, sono stati regolarmente convocati, alla stregua di Bellucci, che dovrebbe tornare dal primo minuto. Ancora out, invece, Campagnaro: Hugo dovrebbe essere disponibile a partire dalla prossima trasferta di Empoli.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 21 marzo 2008)

mercoledì 19 marzo 2008

Promossi & Bocciati di Milan-Sampdoria

Mazzarri: Letteralmente tarantolato. Nonostante l’emergenza e il poco tempo a disposizione per preparare la partita, mette in campo una squadra perfetta, che riesce in un’impresa che mancava dai tempi di Eriksson in panca e Mancini in campo. La sua Sampdoria trova infatti la forza di sbancare San Siro dopo più di undici anni di astinenza meneghina, conquistando inoltre la terza vittoria di fila e consolidandosi in piena zona Uefa. Complimenti! Voto 8

Volpi: Monumentale, il Capitano. Rientra causa squalifica di Franceschini, si riprende la fascia - custodita comunque alla grande da Angelino Palombo (da Nazionale. Voto 7) - e le redini del centrocampo biancocerchiato. Gioca divinamente. L’accantonamento degli ultimi tempi sembra averlo rigenerato: oltre alle solite geometrie, corre come mai in sei anni genovesi. Cala alla distanza, comprensibilmente. Voto 7,5

Paloschi: Colpisce come un cobra dal morso letale. Le movenze paiono simili: è lui la spina nel fianco per la retroguardia doriana, l’unico rossonero in grado di rendersi seriamente pericoloso dalle parti di Castellazzi. Sarà anche una nota intonata, il diciottenne di Chiari, ma se la sola nell’ormai bolso concerto di campioni di questo Milan, qualche cosa vorrà pur dire… Voto 7+

Delvecchio: Come l’Asia Argento targata Giovanni Veronesi 1998, Gennaro bacia tutti. Domenica a Marassi era toccato al goleador Palombo, oggi al “Meazza” a Volpi. Per fortuna del Doria, oltre alle dolci affettuosità nelle esultanze, il numero 40 barlettano fornisce una prestazione a tutto campo, cocktail di classe - sì, classe! - e sostanza, prestazione macchiata soltanto dal giallo al momento della sostituzione. Peccato, salterà il Cagliari nel turno prepasquale. Voto 7

Bonazzoli: Il polpaccio duole, ma cresce di gara in gara. Voto 6,5

Pato: Nel primo tempo, più che un brasiliano pare un portoghese: spettatore a sbaffo. S’accende poi nella ripresa, pochi spunti - tra cui il pregevole assist per Paloschi - e troppi voli per le terre. Un po’ pochino. Voto 6-

La difesa di 007 doriani: Capitola solo al 71’, ma Fort Knox regge agli assalti dei Goldfinger ancelottiani. Voto 7,5

Pirlo: Non sarebbe l’ora di farlo rifiatare? Voto 5

Lo staff medico del Milan: Ok, raggiungere la Champions è l’obiettivo primario, ma perché dare il nullaosta a spedire in campo gente come Kakà (fuori dopo neanche dieci minuti. s.v.) , Seedorf (fuori tempo. Voto 4,5) e Jankulovski (vedi sotto), gente in evidente deficit fisico e atletico? Il quesito resta irrisolto. Milan Lab, se ci sei, batti un colpo! Voto 4

Jankulovski: Sulla corsia mancina del Milan si gira il quarto remake de “La Mummia”. Senza accorgersene, il ceco Marek è il protagonista. Voto 4--

Il volo di Castellazzi nel recupero: Sul disperato destro di Gattuso (dal ringhio ammansito. Voto 5,5), la manona di richiamo del verdecerchiato Luca vale tre punti d’oro. Voto 8

Federico Berlingheri
(Goal.com, 19 marzo 2008)

lunedì 17 marzo 2008

Accardi: che domenica bestiale!

GENOVA - Prestazione da incorniciare, primo gol in Serie A e primo centro assoluto in maglia blucerchiata, arrivato per giunta contro i rivali catanesi. Pietro Accardi, palermitano doc, non avrebbe potuto sognare una domenica migliore. La sua incornata su corner di capitan Palombo ha permesso al Doria di sorpassare nuovamente il Catania dopo il pari di Stovini e ha interrotto un digiuno che durava da sette stagioni: la prima e fino a ieri l’unica rete in carriera, il mancino siculo l’aveva infatti segnata nel ’99-2000, con la divisa azzurra del Marsala.

Federico Berlingheri

domenica 16 marzo 2008

Papa Waigo, la McLaren bocciata

Fu buon profeta, lo scorso agosto, Gian Piero Gasperini. “Konko e Papa Waigo - affermò gongolando il mister di Grugliasco nel ventre del “Ferraris” - saranno le nostre McLaren”. Ammirando lo smagliante Abdoulay degli ultimi tempi, pare impossibile dargli torto. Sul ventiquattrenne senegalese di Saint-Lous, invece, il discorso cambia. Che N’Diayè stia andando come una lippa dubbi non ce ne sono; è piuttosto su quel “nostro” che la previsione del tecnico genoano, almeno in parte, decade. Decade perché, dallo scorso gennaio, Papa Waigo non fa più parte della scuderia rossoblù ma corre per quella viola di Cesare Prandelli. In riva all'Arno, corre e non solo: segna - due gol contro decisivi Livorno e Juventus -, fa segnare - un assist, per Osvaldo, fondamentale ai fini dello storico successo della Fiorentina sui bianconeri - e le sue danzanti esultanze gli hanno già ritagliato un amorevole cantuccio nei cuori della Curva Fiesole. Il tutto - occorre ricordarlo - in sole 4 partite e 191 minuti giocati.

Al Genoa, di contro, il bottino fu tutt’altro che esaltante. Eppure, quei cinque milioni di euro sborsati al Cesena dal presidente Preziosi - bruciando la concorrenza del Palermo - ed un precampionato a mille lasciavano ben sperare coloro che tengono alle sorti del Vecchio Balordo. Passo da antilope, falcata rapidissima, scatto e destro fulminanti: tre gol in nove giorni, contro il Torino nel “Trofeo Spagnolo” e contro Grosseto ed Ascoli in Coppa Italia, catapultarono il centravanti africano in vetta alla speciale hit-parade della Nord, ancor più di quel Marco Borriello che oggi tutti - giustamente - decantano. Fu un fuoco di paglia. Anche per via di una fastidiosissima appendicite, l’esordio in massima serie della freccia nera N’Diayè si rivelò quasi disastroso e l’apporto dei tifosi andò, col tempo, scemando.

Titolare con Milan, Catania e Torino - quest’ultima dopo l’intervento chirurgico e il lungo decorso postoperatorio -, panchinaro subentrato in altre sei occasioni, Papa Waigo collezionò sul prato verde la miseria di 354 giri d’orologio, senza segnare e senza mai andarci vicino, ma soprattutto senza convincere allenatore e dirigenza. Fu per questo che, neanche due mesi fa, a Villa Rostan optarono per una sua cessione in comproprietà: nello scambio alla pari con Vanden Borre, seppure la McLaren senegalese sia ora reduce dai box e, con tutta probabilità, guarderà dalla panchina la sfida da ex di questo pomeriggio al “Franchi”, sembra averci guadagnato solo la Fiorentina.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 16 marzo 2008)

mercoledì 12 marzo 2008

I 482 minuti blucerchiati di Terlizzi

Spietato in avanti, pasticcione dietro, litigioso fuori. Christian Terlizzi, terrore delle difese avversarie - ma anche dei propri compagni di squadra e dei propri tecnici... - è tornato. Dopo un anno di inattività genovese, è tornato al gol un girone fa, con la maglia del Catania, al “Sant'Elia” di Cagliari, proprio dove, un anno esatto or sono, disputò la sua penultima partita con la Sampdoria. Ottobre 2006, sconfitta blucerchiata di misura (1-0, rete di Conti) e cartellino giallo rimediato. Quasi un disastro. Se possibile, l'ultima - di quattro in campionato - fu ancora peggio: a Palermo, 2-0 rosanero senza appello e rosso per proteste poco prima del novantesimo. Era il 5 novembre.

Da quel momento, il lungagnone romano giunto l'estate precedente proprio dal capoluogo siciliano in campo non si vide più. Squalifica di due turni, lombosciatalgia, intervento chirurgico per ridurre un'ernia discale, lunghissima riabilitazione e finale ostracismo di mister Novellino bastano a comprendere il suo perenne accantonamento. In fin dei conti, però, andò bene così: fuori Terlizzi, si cominciarono ad apprezzare le virtù di Pietro Accardi, che finì per giocare, da centrale difensivo, la miglior stagione di sempre.

E pensare che tra i due neoacquisti ex palermitani la parte del prim'attore sarebbe spettata di diritto al più accreditato difensore-goleador, reduce da un avvio di 2005-06 da superstar grazie a quattro gol nelle prime quattro giornate. Almeno a sentire il Terlizzi-pensiero al raduno del 15 luglio all'Hotel Astor di Nervi... “Sono venuto per essere uno dei protagonisti di questa squadra - esordì aitante e spavaldo -. Le mie caratteristiche? Sono bravo di testa, ho un buon calcio e mi piace giocare la palla”. Della serie: Beckenbauer mi fa un baffo.

La realtà si rivelò ben diversa. Seppur convocato e titolare nell'assai sperimentale prima Italia donadoniana, il Terlizzi doriano finì per disattendere qualsivoglia aspettativa, totalizzando tra Serie A e Coppa Italia la miseria di 482 minuti in sei presenze complessive, e andando, di fatto, a rinverdire la tradizione della “clinica riabilitativa blucerchiata”, accogliente dimora per calciatori non proprio sanissimi, che ha visto transitare dalle proprie parti i vari Beppe Signori, Doni, Simone Inzaghi, Zamboni e Iuliano, gente che a Genova è passata quasi esclusivamente per svernare.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 13 marzo 2008)

lunedì 10 marzo 2008

"Tardini" talismano per Bonazzoli

PARMA - La stagione scorsa, le quattro reti in campionato, Emiliano Bonazzoli le aveva realizzate tutte al “Ferraris”. Le sue vittime, in rispettoso ordine cronologico: Empoli, Milan, Chievo e Torino. Prima di ieri pomeriggio in quel di Parma, l’ultimo centro in Serie A segnato in trasferta dall’ariete di Asola risaliva addirittura all’11 dicembre 2005, quando, proprio al “Tardini”, Emiliano pareggiò di testa, su assist di Borriello, il vantaggio crociato di Corradi. Quando si dice uno stadio fortunato...

Federico Berlingheri

domenica 9 marzo 2008

Nocerino, il Genoa e un matrimonio che non s'aveva da fare

Quando ci si mette di mezzo il destino, meglio lasciar perdere. Evidentemente, scomodando don Lisander Manzoni, tra Antonio Nocerino e il Genoa, il matrimonio non s’aveva da fare. Fu nell’estate del 2004 che le strade dell’incontrista partenopeo e del Grifone s’intrecciarono per la prima volta. E non fu un incontro felice. La Juventus, che lo aveva scovato ancora dodicenne sui campetti in terra battuta del Napoletano, dopo averlo mandato in prestito annuale ad Avellino, lo cedette in comproprietà al presidente Preziosi. Mezzala arcigna e compatta, rognosa ma tecnica al tempo stesso, l’ingaggio della metà di Nocerino, diciannove anni compiuti ad aprile e habitué delle nazionali giovanili, fu salutato con grandi favori sia dalla critica sia dal tecnico Gigi De Canio. Peccato che però, il mister lucano, al termine di un stentato avvio di Coppa Italia, venne ben presto fatto fuori: neanche il tempo di cominciare il campionato cadetto e al suo posto andò a sedersi Serse Cosmi.

Con il sanguigno tecnico perugino, non fu amore a prima vista. Tutt’altro. L’esordio del baby-mediano giunse infatti soltanto alla nona giornata: il 23 ottobre 2004, Arezzo-Genoa finì 2-2, Antonio entrò a risultato già definito, al minuto 78’, sostituendo Ciccio Cozza. Oltre al fantasista calabro, in mezzo al campo, la concorrenza per Nocerino era assai nutrita e agguerrita. Capitan Tedesco, Lamouchi, Ezio Brevi, Rimoldi, ma non solo: anche gli esterni Zanini e Lazetic andavano, negli schemi cosmici, spesso ad accentrarsi e a sbarrare la strada del campo al giovane numero 32 campano. Si arrivò così alla sessione invernale del calciomercato. All’attivo, per Nocerino, la miseria di cinque apparizioni, tutte da subentrato, con - al massimo - una ventina di minuti ciascuna.

Meglio cambiare aria quindi, in prestito, nel retrocedente Catanzaro. Almeno, lì, il posto era assicurato. Così come, avrebbe dovuto esserlo, la stagione successiva, ancora a titolo temporaneo nel Crotone di Gian Piero Gasperini. Coi rossoblù ionici, Antonio giocò sì 15 partite, ma qualcosa, nei rapporti col tecnico grugliaschese, non funzionò. E, nel gennaio 2006, si consumò il divorzio e l’ennesimo trasferimento. Nocerino, ormai punto fisso dell’Under 21, finì cinque mesi a Messina. In riva allo Stretto, 11 apparizioni - con tanto di esordio in massima serie in quel di Marassi, nel 4-2 contro la Sampdoria - risvegliarono le attenzioni della Juve comproprietaria del suo cartellino, quelle di mezza Serie A e di mezza Serie B. Non quelle del Genoa, appena affidato per uno scherzo del destino proprio a Gian Piero Gasperini che, nell’estate di due anni fa, ne precluse, in via definitiva, il ritorno in rossoblù.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 9 marzo 2008)

giovedì 6 marzo 2008

Falcone, il difensore-gentiluomo recordman di rossi

Giulio Falcone non è un difensore cattivo. Anzi. Eppure quegli undici cartellini rossi in poco più di trecentosessanta presenze in Serie A farebbero pensare il contrario. Sarà per via del suo carisma, di quel piglio da leader e ultimo baluardo che l'ha sempre portato a prendersi carico di fermare - con le buone ma anche con le cattive - l'avversario lanciato a rete; sarà per colpa dell'ultima sciagurata stagione in maglia blucerchiata condita addirittura da tre rossi diretti per gioco scorretto; sarà soprattutto l'aver militato per tutto l'arco della propria carriera in squadre come Torino, Fiorentina, Bologna e Sampdoria, notoriamente considerate di “seconda fascia” e non proprio “tutelate” dalle giacchette nere. Fatto sta che il quasi trentaquattrenne centrale teramano ora al Parma resta il calciatore in attività più espulso del campionato italiano.

Un record, questo, tutt'altro che invidiabile, ma non in grado di ingannare chi ha potuto, negli ultimi quattro anni, apprezzare il Falcone doriano. A smentire la cruda freddezza di simili cifre, ci sono 111 presenze blucerchiate a dimostrarlo. Giulio è sempre stato un gentiluomo, sia in campo sia fuori. Professionista serio e corretto, persona assai intelligente, mai banale, che - merce assai rara nel mondo pallonaro moderno e contemporaneo - davanti a taccuini e telecamere ha sempre saputo sfoggiare un eloquio forbito e brillante.

Brillanti, senza ombra di dubbio, si rivelarono anche le prime due stagioni al Doria: in coppia con Mirko Conte o Carrozzieri nel 2003-04 e con Castellini nel 2004-05, Falcone toccò vette di rendimento mai raggiunte prima, guidando con autorevolezza una delle retroguardie meno battute della Serie A e facendo ricredere chi aveva storto il naso all'arrivo di quell'allora ventinovenne svincolato dal Bologna. Persino l'Inter pensò a lui per registrare la propria difesa e la cosa pareva fatta, senonché ci si mise di mezzo il destino: a Cagliari, il 10 aprile del 2005, il pelato numero 19 blucerchiato fu costretto ad abbandonare il campo in barella. La diagnosi si rivelò crudele: rottura del legamento crociato del ginocchio anteriore destro. Niente Inter, sì al rinnovo biennale con la Samp. Quelli che seguirono non furono mesi semplici. L'operazione, la rieducazione, le numerose difficoltà alle quali si aggiunsero altri guai muscolari: nel 2005-06 si contarono soltanto 18 presenze e, di rado, si ammirò il vero Falcone. Uno dei migliori difensori italiani degli ultimi tempi pareva, soltanto a trentuno anni, un calciatore in declino.

Di lui, però, non si scordò Donadoni, neo-commissario tecnico della Nazionale Campione del Mondo, che lo convocò - insieme coi compagni doriani Terlizzi, Zenoni, Delvecchio e Palombo - per l'amichevole livornese tra Italia e Croazia. La gioia dell'esordio in azzurro, a trentadue anni suonati e agli albori della sua quarta e ultima stagione genovese, sembrava la premessa ideale per l'inizio della rinascita, ma lo scorso campionato agli ordini di Novellino fu forse il più deludente, anche sul piano personale. Alcuni svarioni madornali e qualche - già citata - espulsione di troppo vennero pagati a caro prezzo e, in scadenza di contratto, la società preferì lasciarlo libero di accasarsi altrove. A farsi avanti fu il Parma di Ghirardi, dove, da inizio anno ad oggi, il miglior Falcone resta soltanto un tenue e sbiadito ricordo, che, probabilmente, non rivedremo più.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 6 marzo 2008)

mercoledì 5 marzo 2008

Gasba, la stella ad intermittenza

Marassi. 14 settembre 2002. Sampdoria-Lecce 4-2. È nata una stella. Chi in quella serata genovese non la pensò così scagli la prima pietra. Ispirato, guizzante, imprendibile, durante quei novanta minuti il poco più che ventunenne torinese Andrea Gasbarroni, all'esordio in campionato con la maglia blucerchiata numero 77, diede letteralmente spettacolo e segnò al salentino Generoso Rossi una doppietta memorabile. Appena giunto in prestito dalla Juventus, al termine di una stagione positiva in C1 nel Varese di Mario Beretta, il neotecnico doriano Walter Novellino adattò il giovane trequartista al suo consolidato 4-4-2 e lo gettò subito nella mischia. Per Andrea si spalancarono così le porte della fascia destra.

E Gasba, nell'inedito ruolo di ala, non steccò la prima mettendo immediatamente in mostra la tecnica, il dribbling fulminante e la classe cristallina ammirate da sempre negli anni delle giovanili bianconere e confermate a Varese. Peccato, però, che dopo l'exploit d'inizio campionato, la stella nata quel 14 settembre non brillò con la stessa costanza. Insieme con Novellino imparò molto, ma era troppo immaturo, esile, fragilino per imporsi. Aveva poco più che vent’anni, scarsa continuità. Alcuni guai fisici e la concorrenza di Valtolina e Zivkovic fecero il resto. A fine stagione 21 le presenze collezionate, soltanto due le marcature, quelle dell'esordio contro il Lecce. La Samp andò in A; Gasbarroni restò in B trasferendosi all'ambizioso Palermo di Zamparini.

In Sicilia, dove prima Silvio Baldini e poi Francesco Guidolin corroborarono entrambi la felice intuizione tattica di Novellino di schierarlo esterno destro, Gasba trovò - forse nella prima e unica volta in carriera - la continuità necessaria per disputare ben 39 presenze, segnare 6 gol ed ergersi a protagonista della promozione rosanero. Fece così bene che la metà del suo cartellino venne riscattata dalla società palermitana senza però che la Juventus ne perdesse l'altro cinquanta per cento. Ma, nonostante quest'iniezione di fiducia, la stagione successiva, la sua prima in massima serie e quella della possibile agognata consacrazione, l'eterna promessa piemontese stentò parecchio tanto da esser sorpassato nelle gerarchie del tecnico di Castelfranco Veneto da Santana e Brienza.

La troppa panchina alla corte di Guidolin indusse quindi Gasbarroni a cambiare aria; e a riaccoglierlo a braccia aperte, durante la sessione invernale del calciomercato, ci pensò la Sampdoria del suo maestro Novellino. Eravamo nel gennaio 2005. A distanza di un anno e mezzo dal primo addio, il tecnico di Montemarano ritrovò un ragazzo sì più maturo e determinato ma con il cruccio di due stagioni prima: Gasbarrincha - su cui vanta diritti d’autore il professor Buonaccorsi, docente di Storia del teatro e dello spettacolo dell'Università di Genova - grandi colpi ma zero costanza. Alla fine, il Doria in bilico tra Champions e Uefa, per un punto, andò in Uefa e, pur non incantando, l'ala di Torino mise lo zampino nella cavalcata del quinto posto grazie a due segnature decisive contro Chievo (vittoria per 1-0) e Parma (1-1) nelle 11 apparizioni racimolate.

A fine stagione però, non fu riscattato. Ancora in comproprietà tra Palermo e Juventus, Andrea fece nuovamente rotta nel capoluogo siciliano dove intanto era giunto Gigi Del Neri. Durante il ritiro di Folgaria, il mister di Aquileia lo provò come ala destra nel suo collaudato 4-4-2 ma il desiderio dell'ex allenatore del Chievo era uno soltanto: riavere a disposizione in quel ruolo Franco Semioli. Nella trattativa avviata con i dirigenti clivensi, Zamparini tentò quindi di inserire proprio Gasbarroni come contropartita tecnica ma l'affare non andò in porto per motivi economici. E nelle ultime ore utili per concludere trasferimenti, viste le pressanti richieste del d.g. Beppe Marotta, la società rosanero optò per mandarlo per la seconda volta in prestito alla Sampdoria.

Stagione 2005-06: Gasba 3, la rivincita. In realtà, a parte quattro realizzazioni da incorniciare contro Vitória Setúbal in Coppa Uefa, Reggina, Palermo e Milan in campionato, non si consumò alcuna rivincita: si rivide il solito Gasbarroni da montagne russe, alti e bassi, tanto fumo e poco arrosto - ma che arrosto, ad esempio, nel ritorno con gol dell'ex al Barbera! - in una stagione blucerchiata un po’ per tutti sciagurata, conclusa mestamente nella parte destra della graduatoria. Nell’estate del 2006, l'ultimo addio. Le strade di un matrimonio consumato per ben tre volte e conclusosi in altrettanti divorzi sembrano essersi definitivamente separate. Gasba, abbandonato dalla Juve, venne ceduto - prima in comproprietà nell'operazione-Simplicio e poi, la scorsa estate, a titolo definitivo - dal Palermo al Parma. E oggi, in Emilia, tra grandi lampi e lunghe pause, la stella ad intermittenza nata quella sera di settembre del 2002 fatica ancora a brillare con costanza.

Federico Berlingheri

martedì 4 marzo 2008

Io sto con Gian Burrasca 2

Che Cassano domenica pomeriggio abbia sbagliato non è messo in dubbio nel mio pezzo. Anzi, aggiungo ora che, pur con qualsiasi attenuante del caso, il suo comportamento va ripreso ed è del tutto indifendibile. Non per questo però mi paiono giustificabili le gogne mediatiche a cui il ragazzo è stato ed è puntualmente sottoposto ad ogni suo pur riprovevole gesto. Mi pare ovvio che, se si desse una “regolata”, non sarebbe altro che un bene - e che bene! - per la Sampdoria in primis e, in seconda analisi, per l’Italia intera. Ma sappiamo tutti come sia difficile trasformare la natura delle persone. A mio parere, Cassano non va giustificato - sia chiaro -, ma neanche irrimediabilmente condannato come avviene, sempre e comunque, su qualsivoglia mezzo d’informazione.

Perché, ad esempio, Antonio è l’unico calciatore nel nostro paese che dovrebbe pagare i propri errori con l'esclusione dalla Nazionale?

“Merita o no di andare agli Europei?” è il ritornello che ci sentiamo da mesi martellare nelle orecchie. Beh, se alla manifestazione austro-elvetica avremo a rappresentarci: Gianluigi Buffon, che sarà il numero 1 al mondo, ma che scommetteva nonostante non avesse potuto farlo; Marco Materazzi, eroe di Berlino certo, ma anche rinomato “macellaio” e aggressore di Cirillo; Daniele De Rossi altro glorioso rigorista di quella magica serata di luglio, ma pure giustiziere a gomito alto di McBride; Mauro Camoranesi, uno che non intona l'inno di Mameli perché “non canta - parole sue - neanche quello della sua nazione” e sferra calci - vantandosene pure - a palla lontana (chiedere a Diana e Pelé per informazioni); avremo Massimo Ambrosini, uno che ad ogni fallo fischiatogli contro non fa altro che sfornare volgari filippiche sulla faccia della giacchetta nera di turno e fu autore di quel famoso striscione anti-Inter; avremmo avuto, infine - se non avesse detto basta - Francesco Totti, attuale recordman di gol in Serie A e, allo stesso tempo, versione-lama ad Euro 2004 e versione-pugile contro Manninger qualche settimana fa; non vedo perché Antonio Cassano dovrebbe rimanere a casa.

Forse perché personaggio scomodo? Forse perché il più forte di tutti, più forte di altri sponsorizzati e incensati dalla critica? L’Italia va così: Antonio, gli Europei, se li è giocati al minuto 87 di Sampdoria-Torino di domenica scorsa. E, probabilmente, in Nazionale non ci tornerà più. E sapete cosa vi dico? Ma sì, lasciatelo pure a casa: qui nella Genova blucerchiata, nessuno ne farà un dramma.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 4 marzo 2008)

Io sto con Gian Burrasca

Il copyright è del presidente Garrone. Per il numero uno blucerchiato, Antonio Cassano è Gian Burrasca, già da quella calda mattinata del 18 agosto in cui il talento barese fu presentato allo Star Hotel di Corte Lambruschini di fronte a duemila doriani in estasi. Imprevedibile, irrequieto e indisciplinato: facile accostare Antonio al monellaccio Giannino Stoppani che, ai primi del secolo scorso, uscì dalla penna dello scrittore e giornalista Luigi Bertelli, noto ai più come Vamba.

E domenica, a Marassi, ne abbiamo avuta la conferma definitiva: di fronte ad uno che di nome fa Pierpaoli (benemerito fondatore del collegio dove il discolo di casa Stoppani venne relegato dai genitori), Cassano-Gian Burrasca non ha resistito e ne ha combinata un’altra - grossissima - delle sue. Sbagliando - e sarà giustamente punito per questo - ma pentendosi subito dopo.

Già, perché, come Giannino, Peter Pan, l’eterno fanciullo, non ne combina di tutti i colori per semplice ribellismo: lo fa soltanto se toccato, punito ingiustamente come accaduto a Marassi contro il Torino o, sempre al “Ferraris”, con la Fiorentina. Le lacrime, in entrambe le occasioni, sono lì a testimoniarlo.

Il buon Vamba scriveva che “i bambini sono germogli genuini della pianta umana”. Lo si è ripetuto spesso: Cassano è così, bimbo geniale, spontaneo e impulsivo, che potrà sì mandare a fanculo un - mediocre - direttore di gara, insultarlo all'infinito e lanciargli una maglietta; ma non tirare pugni in petto al portiere avversario, sputare in faccia al proprio marcatore, rifilare gomitate o calcioni-killer, né colpire con ganci a tradimento negli spogliatoi; non corrompendo gli arbitri, non comprando le partite, non dopandosi, né truccando bilanci o passaporti.

Nel bel mondo delle ipocrite verginelle del calcio italico, tra prendere o lasciare Antonio Cassano, io scelgo prendere tutta la vita, anche perché, citando ancora Vamba, “i piccini di fronte ai grandi hanno sempre torto, specialmente quando hanno ragione”.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 4 marzo 2008)

domenica 2 marzo 2008

Promossi & Bocciati di Sampdoria-Torino

Cassano: Sembra normale: Gian Burrasca (copyright Duccio Garrone) non potrà mai andare d’accordo con uno che di nome fa Pierpaoli (benemerito fondatore del collegio dove il discolo Giannino Stoppani venne relegato dai genitori). Basterebbe lo scrittore e giornalista fine ‘800-primo ‘900 Vamba per comprendere la giornata da Dr. Jekyll e Mr. Hyde del talento di Barivecchia, cacciato dalla giacchetta nera fiorentina dopo un fallo inesistente fischiatogli contro. La reazione al rosso è del tutto biasimabile e censurabile; le lacrimevoli scuse sotto la Sud a fine gara soltanto da elogiare. Non si parli quindi di punizioni esemplari. Il ragazzo - al settimo, stupendo gol stagionale - ha sbagliato - ed è vero -, ma lo ha già capito. Voto 6 --

Sereni: Su Maggio e Cassano è - al solito - esplosivo e plateale, sui gol risulta incolpevole. Sempre affidabile, la condizione fisica pare smagliante: meriterebbe l’Europeo. Senza alcun dubbio. Voto 6,5

Sala: Si prende una bella rivincita, Gigi, andando a segno per la prima volta in campionato con la maglia del Doria - le altre due reti le aveva segnate in Coppa Italia - e giocando un brutto scherzo al mister che, negli ultimi tempi della scorsa stagione, lo aveva segregato nel dimenticatoio. Non è al meglio, ma sopperisce ad una forma fisica deficitaria con la solita esperienza. Voto 6,5

Lanna: Stantuffo inesauribile, prezioso soldatino. Insieme con l’ex Pisano (attento e composto. Voto 6,5), forma una catena di sinistra assai efficiente, in grado di rendere innocuo un cliente come il Maggio (innocuo, appunto. Voto 6-) di questi tempi. Voto 6,5

Stellone: È il Barone. Nel bene e nel male. La classe non gli manca: gioca con elegante naturalezza e, nelle palle aeree, sa come farsi rispettare. Dei nobili, di contro, ha pure quel po’ di snobistica presunzione che spesso lo porta all’errore e ai limiti della sfrontatezza con direttore di gara e avversari. Voto 6

Castellazzi: Non è stato perfetto, ma nessuna croce addosso per il gol di Comotto. Più che con lui, i doriani dovrebbero recriminare col Comune di Genova che consegna, sotto lauto affitto, un terreno da gioco scandaloso, terroso e impraticabile come neanche un campo di patate. Voto 5/6

La protesta contro Collina: Nella giornata storta di Pierpaoli (ridicolo! Voto 3), gli applausi ironici al designatore arbitrale appostato in Tribuna ci possono anche stare; non gli insulti gratuiti e la ricerca del contatto fisico à la Toto Cutugno contro Luzzatto Fegiz versione Dopofestival. Di sicuro una brutta figura per quella decina di esagitati, ma una nota di cronaca è doverosa. Nessuna costrizione alla fuga: l’ex fischietto viareggino è uscito tranquillamente al fischio finale, visto che la situazione si era subito placata. Voto 3

Bonazzoli: Per restare in clima sanremese, viene alla mente il Festival del ’96. “Sono l’elefante e non ci passo, mi trascino lento il peso addosso” cantava Michele Zarrillo. Non ce ne voglia il buon Emiliano, ma atleticamente non ci siamo proprio. Bello spunto al quarto d’ora, poi tante “sportellate” e nulla più. Nella ripresa pare più mobile: qualche buona sponda non vale però una sufficienza. Voto 5,5

Federico Berlingheri
(Goal.com, 2 marzo 2008)

sabato 1 marzo 2008

Sereni e Corini nel Torino dei grandi ex

Pensi al Torino e pensi ai grandi ex. In primis Walter Novellino e il suo staff - Beppe Degradi, Ciccio Pedone, Rino Gandini, non Ferretto Ferretti fatto fuori, qualche mese fa, dalla dirigenza granata -, poi i recenti Aimo Diana e Marco Pisano - di cui, in queste pagine, s’è già trattato ai tempi di Palermo -, ma non solo. Anche Matteo Sereni ed Eugenio Corini, senza andare troppo a ritroso con la memoria, hanno vestito il blucerchiato, ed entrambi con alterne fortune.

Fu l’ala protettiva di Pierone Battara ad accogliere quel promettente portierino parmense, ma d’origine veneziana, all’ombra della Lanterna. Erano i primi anni ’90 e Sereni, classe 1975, poco più che un ragazzino. Ma la stoffa c’era già, la tecnica e il fisico pure: si intuiva che il guascone figlio di Giorgio - ex difensore di Venezia, Reggiana, Padova e Palermo ed allenatore del Parma e del Catanzaro - avrebbe potuto addirittura raccogliere la pesantissima eredità di un certo Gianluca Pagliuca.

Intanto, mentre il giovane ed estroverso Matteo sgobbava e si faceva le ossa - e che ossa! - sui campetti delle periferie genovesi nelle fila dei Giovanissimi doriani, dalla Juventus - nell’ambito dell’operazione che portò Luca Vialli in bianconero e il trio Serena-Bertarelli-Zanini in blucerchiato - sbarcò a Bogliasco pure il ventiduenne Eugenio Corini. Regista di sicuro avvenire, bresciano di Bagnolo Mella, l’ex punta di diamante delle giovanili delle rondinelle si ritrovò titolare nel centrocampo della verde e sperimentale prima Samp di Sven-Göran Eriksson. Via - come detto - Vialli, ma anche Boskov, Pari e Cerezo, Paolo Mantovani diede vita ad una semi-rivoluzione di ringiovanimento dei ranghi, che valse soltanto un ottavo posto finale e l’esclusione dall’Europa. In quel transitorio ’92-93, Corini giocò con discreta continuità, raccolse 26 presenze tra campionato e Coppa Italia, condite da 4 centri (due dei quali su rigore), ma, soprattutto a causa del non proprio idilliaco rapporto con capitan Mancini, non si conquistò la riconferma.

Nel ’93-94, finì quindi a Napoli; al diciottenne Sereni venne invece affidata la porta della Primavera blucerchiata, iniezione di fiducia che gli valse il cameo, tenuta fucsia e tirabaci in testa, nella foto ufficiale della “prima”, proprio al fianco di Pagliuca e David Platt. Zero, a fine anno, le apparizioni coi grandi, così come nella stagione successiva, allorché fu mandato in prestito al Crevalcore. Il ’95-96, però, tornato terzo portiere alle spalle di Zenga e Pagotto, riservò qualche piacevole sorpresa: il 10 settembre 1995, il numero 22 esordì in A senza subire reti allo “Zini” di Cremona e collezionò altri 3 gettoni. Promosso dodicesimo e riserva di Ferron, furono 6 quelli del ’96-97, prima di essere prestato in provincia, al Piacenza e poi all’Empoli.

I due campionati di massima serie (64 presenze totali) gli valsero così il ritorno alla casa madre, questa volta da titolare. Peccato che il rientrante Sereni, sfrontato e assai sicuro di sé, ritrovò il Doria appena retrocesso in cadetteria e, nonostante la solita esplosività dimostrata tra i pali, non riuscì a contribuire all’immediata risalita. Ventura prima e Cagni fallirono l’obbiettivo-promozione; in extremis, nell’estate del 2001, la società blucerchiata il fallimento lo evitò grazie alla cessione dello stesso Sereni all’Ipswich Town. Cessione giunta dopo 99 partite (85 in campionato, 14 in Coppa Italia) da sampdoriano, cessione che aprì un contenzioso economico con la famiglia Mantovani e una ferita - tuttora aperta - con la Gradinata Sud.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 2 marzo 2008)