mercoledì 25 giugno 2008

Da Calì a Gasbarroni, storie di ex incrociati

Da Calì a Gasbarroni, passando per Firmani, Scanziani, Montella e Borriello, aspettando Domizzi e magari pure Rubén Olivera. È una storia cominciata da più di un secolo, da quando il calcio era ancora football e affare quasi esclusivo per gli stranieri, quella dei passaggi - non necessariamente repentini - dal Genoa alla Sampdoria e viceversa. Ci pensò il baffuto siculo-svizzero Francesco Franz Calì ad inaugurare, agli albori del Novecento, la lunga serie di trasferimenti da una sponda all’altra del Bisagno: il primo capitano della Nazionale italiana nel 1901 era al Genoa, l’anno dopo, senza scatenare troppi clamori, giocava per l’Andrea Doria. Proprio dai biancoblù progenitori della Sampdoria ai rossoblù genoani, fece invece scalpore il trasferimento della coppia genovese Sardi-Santamaria, per il quale i due calciatori, accusati di professionismo, rischiarono la squalifica a vita e il Genoa la radiazione. Scongiurato tutto ciò, la vicenda poté continuare.

Nel ’46 nacque la Sampdoria; Giuseppe Baldini ne fu il primo storico bomber e il primo convocato in azzurro. Pensate come la presero i sostenitori blucerchiati quando nel 1950-51 Pinella cedette alle lusinghe del Genoa e tentò l’avventura in rossoblù: gli andò male e nel ’53 era già di ritorno. In tema di cambi di fazione cittadina, gli anni Cinquanta-Sessanta furono abbastanza prolifici: Ugo Amoretti, portiere del Genoa nel ’33-34, allenò la Samp per due giornate nel ’56-57; Edwing Tacchino freddo Firmani dal ’55 al ’58 segnò 52 reti in 83 partite in blucerchiato per divenire rossoblù nel ’61; gli allenatori Roberto Lerici e Paolo Tabanelli sedettero prima sulla panchina del Doria e poi su quella del Grifone.

I magnifici Settanta, nella Genova calcistica, non si rivelarono anni poi così entusiasmanti, anzi, e non lo furono neppure i salti della barricata: se ne annota soltanto uno e piuttosto indolore, quello di Giorgio Custer Garbarini, cuore genoano cresciuto nella Sampdoria (87 presenze totali), passato al Vecchio Balordo nel ’71. Per assistere ad una delle operazioni più chiacchierate, occorre invece attendere il 1986-87, allorché l’attempato capitano del rinato Doria di Paolo Mantovani, Sandro Scanziani, si tramutò repentinamente da idolo della Sud a “nemico”, trasferendosi in rossoblù a trentatré anni suonati. Più graduale e marginale fu l’approdo al Baciccia del mancino Ivano Bonetti, genoano a metà anni Ottanta, scudettato nella Sampdoro mantovaniana e cavallo di ritorno rossoblù nel ’98-99.

Ma il colpo più colpo di tutti lo realizzò Enrico Mantovani: mai, sotto la Lanterna, il clima da derby di mercato si scaldò tanto come nell’estate del 1996. All’epoca, Genoa e Empoli si contendevano alle buste il cartellino di Vincenzo Montella, centravanti partenopeo astro nascente del pallone italico; nell’incredulità generale la spuntarono i toscani. Chi c’era dietro lo si scoprì subito: con buona pace del furioso Aldo Spinelli e della Nord, l’Aeroplanino si colorò di blubiancorossonero e, beffa nella beffa, si ritrovò a saltellare al grido di “chi non salta è un genoano” nel bollente catino del Palasport. Percorso inverso compì Marco Carparelli, finalese cresciuto a pane e Doria, compagno proprio di Montella nel ’96-97, divenuto capitano tutto cuore e grinta del Grifone a ridosso del Terzo Millennio.

Con lo storico massaggiatore doriano Ezio Marchi a curare i muscoli genoani fino al 2001, e con l’ex numero 1 blucerchiato Guido Bistazzoni, il quale si ritrovò a preparare i portieri del Grifone prima di tornare nuovamente all’ovile, è proprio la cronaca recente a raccontare i cambi di casacca più insoliti e frequenti. Nel 2000-01 mister Gigi Cagni e Dario Marcolin si incontrarono insieme a Bogliasco dopo essere transitati dalle parti del “Pio” (nel ’98-99 il primo, nel ’94-95 il secondo); sorte opposta toccò a Nicola Zanini e Vittorio Tosto, fugaci meteore blucerchiate (a più riprese il fantasista vicentino, nel 1999-00 il terzino calabrese) e compari di rinascita nel Grifone 2004-05 targato Cosmi. Rinato - eccome! - dopo la cura-rossoblù, pure Marco Borriello, bocciato alla Samp da Novellino (2005-06) e implacabile goleador alla corte di Preziosi; quel Joker che, dopo aver rischiato di acquistare egli stesso il Doria nel 2001 e acquistati Giuseppe Greco e Igor Zaniolo (entrambi con un passato nelle giovanili blucerchiate), con gli ex sampdoriani sembra averci preso gusto: Gasbarroni, quasi certamente Domizzi e forse l’uruguagio Olivera sono pronti a rinverdire una tradizione che, nella Superba pallonara, dura ormai da più di cent’anni.

Federico Berlingheri
(il Giornale, 25 giugno 2008)

Quando rossoblù e blucerchiati sognano lo stesso calciatore

GENOVA - Claudio Onofri direbbe che il target è quasi lo stesso: stesso bacino d’utenza, medesimo tetto ingaggi, ambizioni e programmi, a medio o a lungo termine, pressappoco simili. In effetti, soprattutto negli ultimi due anni, Genoa e Sampdoria ci hanno abituato a campagne di rafforzamento di pari tenore e a conseguenti testa a testa di mercato, talvolta veri, talvolta presunti, ma pur sempre avvincenti. Se si esclude l’ingaggio blucerchiato di Antonio Cassano, i nomi circolati ultimamente nel caotico bailamme mediatico delle sessioni di trasferimenti finiscono sovente per intrecciarsi, facendo al caso sia di una società sia dell’altra società cittadina. E le trattative, in odore di derby, paiono arroventarsi a dismisura. Prendete l’ex piacentino Hugo Armando Campagnaro: a fine giugno 2007 sembrava già del Genoa. Tutto fatto, si diceva e si scriveva, senza però aver fatto i conti con Beppe Marotta, il quale, con un autentico blitz, soffiò il difensore argentino ai cugini allo stesso modo in cui, poco prima, aveva “sottratto” un altro centrale, quel Daniele Gastaldello che Gasperini allenò nelle giovanili della Juve e a Crotone e avrebbe voluto con sé al Grifone.

D’altro canto, anche Mazzarri avrebbe gradito volentieri Alessandro Lucarelli e Francesco Modesto, scudieri nella sua Reggina dei miracoli: uno l’estate scorsa, l’altro qualche settimana fa sono entrambi finiti al Genoa. Al Genoa, dalla Juventus, c’è finito pure Raffaele Palladino, apprezzato e seguito a lungo dalla Samp, un po’ come Beppe Biava, fresco genoano nell’operazione-Bovo (altro ex pallino di Corte Lambruschini). Passando invece alla sfera degli obiettivi e delle ipotesi condivise, i nominativi accostati in tempi non sospetti ora al Genoa ora al Doria non fanno che sprecarsi: i centrali Contini, Dainelli, Pratali, Rinaudo e Rossettini, i mediani Almiron, Brocchi e Mudingayi, gli esterni Abate, Antonini e Motta. Ma il piatto forte, da sempre, restano gli attaccanti e allora, nel tourbillon di voci, dentro Rolando Bianchi, Bojinov, Brienza, Budan, Cacia, Calaiò, Corradi, Foggia, Lodi, Cristiano Lucarelli, Matri, Osvaldo, Paolucci, Tavano, e infine Pazzini, quest’ultimo autentico sogno proibito e, manco a dirlo, in comune.

Federico Berlingheri
(il Giornale, 25 giugno 2008)

lunedì 23 giugno 2008

Ci mancherai, Francesco

Francesco Flachi, la Sampdoria e i suoi tifosi. Una vicenda vera, vissuta, sincera, stupenda, sofferta. Un’avventura lunga quasi nove stagioni e 111 reti, un’avventura che, con la firma sul nuovo contratto annuale proposto dall’Empoli al fantasista fiorentino, ha scritto in questi giorni l’ultimo, definitivo capitolo.

La storia cominciò la vigilia di Ferragosto del 1999, quando al “Giraud” di Torre Annunziata si disputava Savoia-Sampdoria, prima giornata del girone iniziale di Coppa Italia. Francesco Flachi, allora ventiquattrenne fiorentino di (sole) belle speranze, all’esordio ufficiale con la sua maglia blucerchiata numero 10, segnò una doppietta (subito in gol al 5’ e raddoppio al 22’). Era il Doria del primo anno di Serie B dopo diciassette campionati di massima serie, dopo lo Scudetto del ’91, la finale di Wembley, la Coppa delle Coppe di Göteborg, le Coppe Italia, la Supercoppa italiana; era il Doria di Ventura, di Casale, di Vasari, di Carmine Esposito. L’ambiente, a cavallo del Nuovo Millennio, era in subbuglio, triste, rancoroso, ancora visibilmente scioccato per gli effetti del post-Trentalange, per un’amarissima retrocessione che lasciò scorie indelebili, incancellabili.

E, forse, in quella afosa serata d’agosto non ci si rese perfettamente conto che un campione, un uomo vero giocava la sua prima partita nella squadra che, honoris causa, sarebbe divenuta la “sua”. Alla Sampdoria, da quell’agosto ’99, Francesco Flachi, l’ex fiorentino di belle speranze, sguardo sbarazzino, parlantina facile e 10 sulla schiena, alternò grandi gioie (il ritorno in Serie A, la qualificazione-Uefa) ad amarissime delusioni (promozione svanita per due anni di fila, la truffa-Pane, Lens), momenti lieti, esaltanti (tre su tre nei derby del 2002-03, le splendide rovesciate, il sogno Champions League del 2005) a giorni bui, grigi (lo spettro del fallimento, l’incubo della C nel 2002). Rischiò pure di andarsene, al Monaco (2002) e al Piacenza (2003), ma, per sua ostinata volontà, non se ne fece nulla.

La storia, infatti, non finì. Arrivò la gratificazione della prima - e ultima - convocazione in Nazionale (purtroppo senza giocare); arrivarono i 100 gol in maglia blucerchiata. Ironia della sorte, il centesimo, Francesco lo mise a segno al “Castellani” di Empoli, il 9 aprile 2006, nella domenica delle elezioni politiche che videro “trionfare” l'Unione di Romano Prodi per poco meno di 25 mila voti. Un rigore, ventiquattro ore dopo il giorno del suo trentunesimo compleanno. Fu una ricorrenza amara quella, perché il tiro centrale dal dischetto che batté il portiere azzurro Balli non riuscì ad evitare al Doria la settima sconfitta in otto partite.

Da quel pomeriggio - tra le stagioni 2005-06 e 2006-07 -, Flachi-gol gonfiò la porta avversaria in altre undici occasioni, fu squalificato per due mesi in seguito alla vicenda calcio-scommesse e divenne papà per la seconda volta. Il 21 febbraio 2007 venne poi trovato positivo all’antidoping per cocaina. E il mondo parve crollargli addosso.

La storia cominciata a Torre Annunziata la vigilia di Ferragosto del ’99 si concluse, di fatto, quel maledetto primo pomeriggio di febbraio in cui tutti ci risvegliammo più vecchi e stanchi, amaro in bocca, cerchio alla testa. Francesco, però, non si arrese, non è da lui gettare la spugna. E malgrado i ventiquattro lunghi mesi di squalifica e la rottura con la società, non si ruppe un rapporto, non finì un amore: quello con il pubblico doriano, la sua gente, perché Francesco Flachi, anche se adesso tornerà a giocare per l’Empoli, con una maglia diversa da quella blucerchiata numero 10, non sarà dimenticato. Mai.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 24 giugno 2008)

giovedì 19 giugno 2008

Gianni Brera e il Genoa, un amore lungo tutta una vita

Ringraziando il Giornale, il caporedattore Massimiliano Lussana e Filippo Larganà, il collega autore dell'articolo, riporto poco sotto il pezzo apparso oggi sull'edizione ligure del quotidiano. Il pezzo in questione riguarda me e la mia tesi di laurea triennale dal titolo La Genova di Gianni Brera:

Più che una tesi di laurea quella di Federico Berlingheri, neo dottore diplomato alla Facoltà di Lettere e Filosofia e collaboratore delle pagine sportive dell'edizione genovese de il Giornale, è il racconto di una storia d'amore tra Gianni Brera, principe ancora oggi insuperato dei giornalisti sportivi, e il Genoa, prima squadra di calcio italiana fondata nel 1893. In sei mesi di intenso lavoro, Berlingheri si è trasformato in «topo di biblioteca», scovando le tracce del rapporto tra il giornalista e il Club ligure, sbocciato quando il futuro cronista era ancora adolescente, a ridosso della II Guerra Mondiale, capitato nella «tana» del Grifone per seguire il fratello Albino il quale per lavoro e matrimonio (aveva sposato una sarta con bottega in città) si era trasferito a Genova.

Ma come è nata l'idea di comporre una tesi di laurea sulla fede calcistica di Gianni Brera? «In realtà - spiega Federico Berlingheri che confessa di essere tifoso della Sampdoria - il progetto iniziale era quello di raccontare i resoconti breriani dei derby Genoa-Sampdoria, articoli che, per stile e contenuti, erano testimonianze importanti e preziose delle due anime calcistiche di Genova e dell’abilità con cui Brera riusciva a descriverle. Però il materiale era davvero scarno. Brera, infatti, seguì solo tre partitissime. Da qui l'esigenza di ampliare il raggio d'azione della ricerca, intercettando i segnali, espliciti o nascosti, della fede calcistica rossoblù di uno dei più grandi giornalisti e scrittori italiani del Novecento». Ed ecco che, spulciando gli archivi dei quotidiani che hanno ospitato le epiche cronache sportive uscite dalla penna di Brera, ma anche i libri di o sul giornalista, nato a San Zenone al Po (Pavia) e scomparso per un incidente stradale nel dicembre del 1992, a 73 anni, Berlingheri è riuscito a ricucire il filo rosso (ma è meglio dire rossoblù) di un amore viscerale e profondo del burbero «Giôann» per i «grifoni».

Un tifo nato e cresciuto dal «bacillo» contratto, come lo stesso Gianni Brera racconta in un suo libro e in alcune interviste, durante le sue visite giovanili a Genova, fatte di mangiate nei ristoranti sulle due sponde di Bisagno, tour nei locali e nei bar frequentati da tifosi, giornalisti e calciatori. Ma la dichiarazione d’amore per il Genoa più evidente resta quella dell’intervista al Guerin Sportivo datata 4 ottobre 1976. La tesi di Berlingheri la riporta in modo testuale. Alla domanda di esprimere il suo giudizio sulle squadre genovesi Brera risponde: «Io amo il Genoa, lo sanno tutti», mentre quando è chiamato a commentare la figura di Lolli Ghetti, allora presidente dell’«odiata» Samp, ammette: «Non lo capisco, però come tifoso del Genoa non posso avere in simpatia la Sampdoria». Dichiarazioni che non lasciano spazio a dubbi sulla fede calcistica del giornalista «Gran Lombardo».

Dalla tesi di Berlingheri emerge il «solito» Brera, con la prosa inimitabile dello scrittore colto in materia umanistiche (appassionato di storia e etnologia si era laureato in Scienze Politiche a Pavia) che riesce, per primo, ad usare con disinvolta eleganza, dialetto ligure, lombardo e latino antico, in un mix unico. Traspare anche il tifoso che si esalta o morde il freno a seconda che il Genoa perda o vinca, attraversi una buona stagione o precipiti nel purgatorio della B.

Sullo sfondo resta la passione di Gianni Brera per la Liguria, che lui, «lombardo con antichissimi ascendenti ligustici», riconosce come il luogo del cuore e del cervello (alcuni suoi romanzi furono scritti nella casa di Monterosso), e anche della gola con le immancabili citazioni di mangiate a base di pesci, carni e sciacchetrà. Ora la tesi di Berlingheri interessa anche la Fondazione Genoa. «I responsabili del sodalizio - chiarisce il neo-dottore - pensano di inserirla nel museo dedicato al primo football club italiano, in un'area dedicata a Gianni Brera. A quelli del Genoa piace l’idea che un sampdoriano scriva dei Grifoni». Insomma un terzo tempo fuori dal campo nella memoria del «Gran Lombardo» genoano d’un pezzo. Chissà se il «Giôann» ne sarebbe contento.

Filippo Larganà
(il Giornale, 19 giugno 2008)

domenica 15 giugno 2008

Nell'Europeo degli ex genovesi, ridono solo gli olandesi volanti

Dopo un Mondiale 2006 vinto grazie ad un sampdoriano d’antica data come Marcello Lippi, sembrava, almeno sulla carta, che quello austroelvetico del 2008 potesse essere l’Europeo più rossoblucerchiato di sempre. Cassano da una parte, Borriello dall’altra promettevano di giocarsi al meglio le proprie carte da outsider azzurri, salvo poi risvegliarsi con Fantantonio sempre in panca al fischio d’inizio e il bel Marco innanzitutto rossonero e poi perennemente agghindato di tuta a bordo-campo.

Non sarà certo solo per questo che quest’Italia traballante rischia di non superare nemmeno il primo girone, ma le scelte tecniche di un altro ex rossoblù, Roberto Donadoni, hanno lasciato parecchio a desiderare. Metabolizzata l’amara indigestione Oranje (3-0 senza appello), contro la Romania ci hanno pensato un tap-in di un genoano del passato come Christian Panucci (34 presenze e 4 reti tra il ’92 e il ’93) e un rigore parato da un mai taciuto cuore a tinte rosse e blu come Gigi Buffon a tenerlo ancora in corsa, anche se forse, per accedere ai quarti, non basterà. D’altronde, che il commissario tecnico di Cisano Bergamasco non fosse proprio un mago della panchina a Zena lo si era già intuito nell’estate del 2003, quando il presidente Preziosi lo scelse in qualità di mister del Grifone appena ripescato in cadetteria: tre partite e tre sconfitte in campionato, altre tre sfide in Coppa Italia, di cui una non giocata dal Livorno - per via degli sviluppi del caso-Catania e dell'allargamento della B a 24 squadre - e vinta perciò a tavolino, un pareggio, una sconfitta. Questo, più il “successo” nel Trofeo Spagnolo strappato proprio a quel Catania compare di ripescaggio, il magro bottino genovese di Donadoni, prima di essere esonerato in fretta e furia e sostituito da De Canio. Meglio, decisamente meglio, quello del suo vice Mario Bortolazzi, uno che, grazie a 284 presenze e 18 gol, del Genoa ha fatto la storia: peccato che un “secondo” non abbia troppa voce in capitolo...

Restando in tema di vice e nel girone C, liquidate Italia e Francia, prosegue col vento in poppa la rotta dell’Olanda di Marco Van Basten e del suo fido assistente John Van’t Schip, già ammessa trionfalmente ai quarti. Ala spesso adattata in mediana, canadese di nascita ma di famiglia neerlandese, il biondo Johnny giocò nel Grifone di Spinelli per quattro stagioni (119 gettoni e 11 reti, tra cui quella nel derby del 20 aprile ’95, Genoa-Samp 2-1) dal ’92 al ’96. Non ci giocò mai André Ooijer, esperto difensore arancione e acquisto col botto preziosiano nella calda estate 2005, terrorizzato - a ragione - dall’imminente caduta del Vecchio Balordo nell’Inferno della C1. Nello stesso periodo in cui Van’t Schip appendeva le scarpe al chiodo e tornava in patria, dopo un solo campionato blucerchiato, il tulipano nero Clarence Seedorf lasciava il Doria per il Real: lui, agli Europei, ha detto “no, grazie” perché un ruolo da comprimario - che Van Basten gli prospettava - non avrebbe proprio potuto accettarlo.

Così come un altro ex doriano, il tricolore Fabio Quagliarella (42 presenze condite da 14 marcature nel 2006-07), ha accettato invece di partire dalla panchina il rumeno Paul Codrea, oggi al Siena, un altro transitato dalle nostre parti e avversario azzurro nel girone C. Riserva all’esordio con la Francia e subentrato dopo un’ora a Cociş, l’ex regista del Genoa del Professor Scoglio (52 apparizioni da 3 gol dal gennaio 2001 al gennaio 2003) ha saputo conquistarsi un posto da titolare nelle strategie anti-Italia di Piturcă, giocando pure bene. Non è bastato, invece, giocare bene all’esterno destro elvetico-kosovaro Valon Behrami (24 partite in rossoblù proprio ai tempi di Donadoni e De Canio): con due sconfitte su due incontri, la sua Svizzera padrona di casa - che ha ignorato il blucerchiato Ziegler - ha già alzato bandiera bianca.

Federico Berlingheri
(il Giornale, 15 giugno 2008)

martedì 10 giugno 2008

Ciao Capitano

GENOVA - Era già tutto scritto: il Capitano se ne va. Ora è ufficiale. Ieri ha rescisso il contratto che lo legava alla Sampdoria ancora per una stagione e oggi ha scelto. Ha scelto il Bologna neopromosso, dove con tutta probabilità ritroverà i compagni di un tempo Francesco Antonioli e Marcello Castellini. Sergio Volpi lascia quindi il Doria. Lo fa a trentaquattro anni suonati, dopo sei stagioni all’ombra della Lanterna, 158 presenze in Serie A, 35 in B, 29 in Coppa Italia, 10 in Uefa e 2 in Intertoto.

In totale, conditi da ben 22 gol, sono 234 i gettoni in maglia blucerchiata, la maggior parte dei quali con la fascia legata al braccio sinistro: soltanto in 18 - nell’ordine Mancini, Mannini, Vierchowod, Pari, Salsano, Bernasconi, Vincenzi, Luca Pellegrini, Salvi, Vialli, Lombardo, Pagliuca, Flachi, Lippi, Ferroni, Delfino, Battara e Invernizzi - ne hanno collezionati più di lui.

Resterà nella storia, il regista di Orzinuovi. Per la sua forza, per quei suoi bolidi dalla distanza, per quel non arrendersi mai. Resterà nella storia per quelle più di duecento partite giocate col 4 dietro la schiena, a difendere, con grinta ed orgoglio, quella maglia che, da capitano e condottiero, ha dapprima trascinato in A (2002-03), poi riassestato in massima serie (2003-04) e infine riportato in Europa (2004-05, 2006-07 e 2007-08), prima di partire e al tempo stesso restare, comunque, nell’empireo dei grandi blucerchiati di sempre. Ciao Capitano, in bocca al lupo!

Federico Berlingheri
(Goal.com, 11 giugno 2008)

domenica 8 giugno 2008

S'arrende anche l'Inter, Sampdoria Campione d'Italia!

La pioggia, ancora lei. Ancora una volta sono degli intensi e fitti goccioloni a bagnare un successo dei ragazzi di Fulvio Pea: dopo lo zuppo trionfo di aprile in Tim Cup, la Sampdoria Primavera batte l’Inter nella finale di Chieti (3-2) e conquista il suo primo, storico Scudetto di categoria. Un double esaltante, memorabile, appassionante quello materializzatosi sotto l’acquazzone teatino, un successo che, bissando la coppa di Lega, non ha fatto altro che ribadire a chiare lettere come i giovani blucerchiati siano - senza possibilità di smentita - i più forti di tutti.

Sulla scia del lavoro biennale dei predecessori Lombardo e Bollini, mister Pea e i suoi collaboratori, insieme con l’intera società, hanno saputo creare, nell’arco di una sola stagione, un gruppo straordinario per livello tecnico e compattezza, un gruppo artefice di una vittoria nitida, ampiamente meritata, forse ancora più bella perché arrivata al termine di una gara vera, maschia e corretta, dominata e sofferta, e per giunta contro i campioni in carica, i “carnefici” nerazzurri della scorsa final-eight.

La partita allora. Primo tempo da botta e risposta: Inter avanti al 28’ con Pedrelli, abile a sfruttare una respinta di Fiorillo su Ribas; pari agguantato in mischia da Poli (32’), al termine di un batti e ribatti in area meneghina. Nella ripresa, 2-1 Samp al 60’ con un tocco di testa ravvicinato di Koman su assist di Scappini e immediato 2-2 interista firmato su rigore da Balotelli (63’). I supplementari si avvicinano ma, all'82’, un gran tiro del neoentrato Mustacchio supera Belec, grazie anche ad una deviazione di Federici, e fissa il risultato sul 3-2 finale.

È Scudetto quindi, il primo Primavera, il secondo in assoluto. Il 2008 come il 1991: visto, vinto, vissuto. E la Sampdoria tutta può far di nuovo festa. Certo, non sarà come vincerlo coi “grandi” e pazienza se non tutti emergeranno: Pea e i suoi ragazzi, oltre ad entrare nella storia, hanno già saputo guadagnarsi un posto d’onore nei cuori della gente che vive di Doria. Mai, infatti, nella Genova doriana, una Primavera aveva entusiasmato tanto, suscitato attenzioni, acceso e inorgoglito gli animi come hanno saputo fare i vari Fiorillo, capitan Lanzoni, Rossini, Sembroni, Eramo, Poli, Signori, Bianco, Koman, Marilungo, Scappini, ma anche Mustacchio, Calzolaio, Cucciniello, Negretti, Di Gennaro, Pondaco, Gabriel e Nicola Ferrari, Gulan, Arnulfo, Donati, Ustulin e gli altri, quelli che sono stati ceduti in corsa, l’intero staff e, soprattutto, la società - Garrone, Marotta, Asmini, Paratici, Pezzotti -, ovvero tutti coloro che hanno contribuito all’avverarsi di un vero e proprio sogno.

Un sogno divenuto realtà al termine di una cavalcata 2007-08 incredibile, quasi trionfale, frutto di 21 vittorie su 31 incontri, la bellezza di 60 reti segnate (addirittura 19 i goleador in una sorta di cooperativa del gol) e di soli 22 subiti; un sogno divenuto realtà che, dopo più di tre lustri, permetterà alle maglie cerchiate di blu di ostentare con orgoglio, sul petto, uno stemma tricolore. Grida forte più di ieri, perché la Sampdoria sei tu cantavano i fratelli De Scalzi nel ’91. Cantate forte, oggi, ragazzi: la festa è tutta vostra e appena cominciata...

Federico Berlingheri

Tabellino

Inter-Sampdoria 2-3

Reti: 28' Pedrelli, 32' Poli, 60' Koman, 63' Balotelli (rig.), 82' Mustacchio

Inter (4-3-3): Belec 5; Santon 6, D. Esposito 5,5, Federici 5, Fatic 5,5; Gerbo 5,5, Bolzoni 6, Pedrelli 6,5 (84' Napoli s.v.); Siligardi 5,5 (64' Obi 6,5), Ribas 5, Balotelli 5. All. V. Esposito 5,5

Sampdoria (3-4-2-1): Fiorillo 7; Lanzoni 6,5, Rossini 6,5, Sembroni 6; Eramo 6,5, Poli 7, Signori 7, Bianco 6,5; Koman 6,5 (69' Mustacchio 6,5), Marilungo 6,5; Scappini 6,5 (87' N. Ferrari s.v.). All. Pea 7

Arbitro: Gambini di Roma 6

Ammoniti: Poli, Gerbo, Balotelli, Bolzoni

(Goal.com, 9 giugno 2008)

giovedì 5 giugno 2008

La Sampdoria di Pea non si ferma più: liquidata la Fiorentina, in finale c'è l'Inter

Bressanone 2007: quel rigore conquistato con astuzia e trasformato da Balotelli allo scadere grida ancora vendetta. Troppo ghiotta, in casa Sampdoria, l’opportunità di una rivincita con l’Inter per lasciarsela scappare. Anche per questo, basta un solo tempo - il primo - ai blucerchiati di Fulvio Pea per liquidare (2-1) la Fiorentina nella seconda semifinale della final-eight Primavera.

Rispetto alla sfida di due giorni fa contro la Juventus, Alberto Bollini, l’uomo che proprio lo scorso anno riuscì nell’impresa di condurre i blucerchiati, per la prima volta nella loro storia, alla finale di categoria, deve rinunciare ai cechi Mazuch e Hable, entrambi squalificati; Pea, invece, ripropone fin dall’inizio lo stesso undici che ha strapazzato il Chievo.

Al “Guido Angelini” di Chieti si comincia poco dopo le 20 e, in seguito a due tentativi falliti da Scappini (2’) e Marilungo (5’), il Doria passa. Ci pensa - manco a dirlo - il piede sinistro di Gianluigi Bianco a mettere proprio Scappini in condizione di siglare l’1-0: punizione mancina del numero 5 genovese, stacco imperioso del 9 perugino e Seculin, al 7’, deve già capitolare. Il vantaggio galvanizza i ragazzi in tenuta blucerchiata e pare stendere i viola, incapaci di reagire. Tra pressing asfissiante e raddoppi repentini, la classe di Poli e la sostanza di Signori giganteggiano a metà-campo; non è un caso che la Fiorentina fatichi assai ad imbastire una - che sia una - azione d’attacco. Il regista Romizi, infatti, non gira come dovrebbe e il trio di punte resta isolato. Lepiller allora tenta il colpo a sorpresa dalla distanza: siamo alla mezz’ora e il suo calcio da fermo - prima conclusione gigliata in assoluto - termina a lato. Termina alto, invece, al 33’, un destro di Poli da buona posizione. Fiorillo viene chiamato in causa soltanto al 37’ in occasione della prima vera manovra viola degna di nota: Casoli tocca a capitan Di Carmine in profondità, questo assiste Lepiller al centro dell’area, tiro al volo ma il numero 1 verdecerchiato blocca in due tempi. È il preludio all’inaspettato pari: 40’, rinvio lungo di Seculin, Fiorillo esce fino al limite dell’area e si scontra con Rossini. Prima di impattare contro il proprio portiere, il centrale di Gubiasco colpisce di testa e sigla la più beffarda delle autoreti. Combinando poco e nulla, la Fiorentina si ritrova sull’1-1. Ma serve ben altro per abbattere questa Sampdoria che di baby ha solo la carta d’identità. Al secondo minuto di recupero, Gian Bianco riporta avanti i suoi, grazie ad una splendida punizione a giro sulla quale Seculin può solo rammaricarsi di una barriera composta da ben sette (!) compagni.

Malgrado un calo fisico doriano ed un ritorno - a dire il vero non proprio convinto - della Viola, il 2-1 non si schioda nella seconda frazione. Un’incornata di Casoli coglie la traversa al 57’; Romizi, velleitario, spara in curva tre giri d’orologio più tardi. La spinta dei ragazzi di Bollini si esaurisce però intorno al 70’, quando prima Marilungo e poi Poli (78’) mancano il tris da pochi passi. Da pochi passi, su una dormita colossale di Sembroni che sarebbe potuta costare cara, Di Carmine trova Fiorillo sulla propria strada. Siamo al 91’, è questo l’ultimo sussulto di una semifinale che ha visto il Doria di Pea trionfare con pieno merito. Senza timori reverenziali e con la consapevolezza della propria forza, domenica alle 16, ancora in quel di Chieti, l’ultimo capitolo con l’Inter di Esposito e Balotelli. La vendetta si dice vada consumata fredda: dal 19 maggio 2007, il piatto si sarà raffreddato abbastanza?

Federico Berlingheri

Tabellino

Sampdoria-Fiorentina 2-1

Reti: 7' Scappini, 40' Rossini (aut.), 47' p.t. Bianco

Sampdoria (3-4-2-1): Fiorillo 5,5; Lanzoni 7, Rossini 5,5, Sembroni 6 (93' Calzolaio s.v.); Eramo 6,5, Poli 7, Signori 7, Bianco 7; Koman 5,5 (66' Mustacchio 6,5), Marilungo 6; Scappini 7 (62' G. Ferrari 6). All. Pea 6,5

Fiorentina (4-3-3): Seculin 5,5; Fedi 6, Aya 5,5, Tagliani 6, Bettoni 6; Diakhaté 6, Romizi 5 (87' Zappacosta 5), Cardinali 5,5 (62' Nocciolini 6); Casoli 6 (87' Morelli s.v.), Di Carmine 6, Lepiller 5. All. Bollini 5,5

Arbitro: Viti di Campobasso 6

Ammoniti: Lepiller, Di Carmine, Poli, Fedi


(Goal.com, 5 giugno 2008)

martedì 3 giugno 2008

Marilungo-Poli: il Doria stende il Chievo e vola in semifinale

Ci sono partite che, ahinoi, cominciano alle 12,30; ci sono partite che, in barba alla suspense, capisci subito come andranno a finire. Bastano pochi secondi per comprendere la differenza tra Sampdoria e ChievoVerona Primavera in questo insolito quarto di finale meriggiano: tecnica, mentale, di approccio alla contesa. Sul non proprio impeccabile prato del “Comunale” di Ortona, i blucerchiati di Fulvio Pea trasformano così in realtà i favori del pronostico, conquistando con pieno merito l’accesso alla semifinale della final-eight teatina. Lo fanno grazie ad un 3-0 secco e ineccepibile, firmato Marilungo (doppietta) e Poli, un 3-0 su cui sarebbe assurdo nutrire dubbi.

Doria in formazione tipo ma con i “big” reduci dagli impegni con le rispettive nazionali; da par loro, i clivensi del duo Lazzarin-Nicolato, secondi come i doriani nel proprio girone e miglior difesa dell’intero campionato, si cautelano comunque col fuoriquota viareggino Rickler (centrale classe ’87, 17 presenze nel Chievo di Iachini dominatore della B) e si affidano in avanti all’estro latinoamericano - e fumoso - di Farias. Come accennato, sono i ragazzi di Pea - spesso rimproverati a ragione di negligenza e spocchia - a partire col piglio giusto. Corti, carichi, aggressivi, capitan Lanzoni e compagni pressano come degli ossessi, non lasciando ai frastornati gialloblù alcuna possibilità di uscire fuori dalla propria trequarti. Ci provano in sequenza Scappini (6’), Koman (7’) e Rossini (10’), tutti senza fortuna. Alla stregua di Signori, al 22’, quando impegna il numero 1 clivense Gazzi con una gran botta dalla distanza. Da quel momento, il ritmo cala e il Chievo prova a rialzare la testa. Gli manca il mordente, però, il guizzo del singolo che permette invece ai blucerchiati di trovare il vantaggio: minuto 40, il razzente Marilungo scappa sulla destra a Brighenti, entra in area, appoggia all’indietro per Signori, palla di ritorno ancora per l’11 ascolano e destro a trafiggere Gazzi in uscita bassa.

La ripresa si apre con gli stessi ventidue effettivi e i veronesi più intraprendenti. Già al 47’ Fiorillo deve mandare in angolo una potente conclusione del capitano avversario Calliari. Il Chievo ora spinge, il Doria si difende con ordine. E fa male da calcio piazzato per mezzo del mancino di platino di Gian Bianco: l’esterno genovese prima trova la testa di Scappini ma il guardalinee alza la bandierina (55’), poi quella di Marilungo: è 2-0 al 63’. Volano tre minuti e ci pensa Andrea Poli a chiudere discorso-qualificazione e marcature con un piatto destro all’incrocio su assist al bacio di Koman dalla destra. 3-0 e finisce qui perché uno strepitoso Fiorillo nega prodigiosamente ai gialloblù (72’ e 77’) persino il gol della bandiera. 3-0 e si vola a vele spiegate in semifinale: la Juventus di Chiarenza, battuta due volte su due in campionato e nella scorsa poule-Scudetto, e la Fiorentina da amarcord dell’ex tecnico Bollini sono avvisate.

Federico Berlingheri

Tabellino

Sampdoria-ChievoVerona 3-0

Reti: 40' e 63' Marilungo, 66' Poli

Sampdoria (3-4-2-1): Fiorillo 7,5; Lanzoni 7, Rossini 7, Sembroni 6,5; Eramo 6,5, Poli 7 (67' Gulan 6), Signori 6,5, Bianco 7; Koman 6, Marilungo 7,5 (74' Cucciniello s.v.); Scappini 6,5 (79' Mustacchio s.v.). All. Pea 7

ChievoVerona (4-1-4-1): Gazzi 5,5; Brighenti 5, Mei 6, Rickler 5, Artuso 5,5; Burato 5,5; Alberti 6, Calliari 6,5 (74' Jefferson s.v.), L. Finazzi 6, Farias 5; Rodrigo 5 (74' T. Finazzi s.v.). All. Lazzarin-Nicolato 5

Arbitro: Di Francesco di Teramo 6

Ammonito: Rickler

(il Giornale, 4 giugno 2008)

lunedì 2 giugno 2008

Questa la vera Serie B

Ricordate l’epilogo della Serie B dello scorso anno? Soffermandoci esclusivamente ai quartieri alti, Juventus, Napoli e Genoa vennero riammesse in Paradiso in modo diretto, senza nemmeno l’ombra di quella crudele lotteria che prende il nome di playoff. Dalla terza classificata (il Genoa) alla quarta (il Piacenza) c’erano infatti dieci punti di differenza - 78 per i liguri, 68 per gli emiliani -, gap cospicuo che ha evitato il disputarsi degli spareggi e ha condannato di fatto Piacenza, appunto, Rimini e Brescia ad un’altra stagione di cadetteria.

Dieci lunghezze: un distacco enorme quello dell’anno passato, sintomo di un’evidente differenza di tecnica, di qualità, di forza tra il terzetto di promosse e la pochezza generale delle altre partecipanti. Fu allora, il 2006-07, un campionato così bello, avvincente e difficile come ci propugnarono per mesi media e addetti ai lavori o perfino una sorta di A2 come venne ribattezzata dai più la categoria? No, affatto. Alla luce di quanto accaduto quest’anno - prima e sesta divise da “soli” 14 punti, grande incertezza a ridosso del capolista Chievo e playoff che si giocheranno regolarmente - la scorsa Serie B, con la Juve trionfatrice (senza contare la penalizzazione) grazie a 94 punti conquistati sul campo - addirittura 33 in più di Rimini e Brescia, quinte appaiate a quota 67 - si rivelò un torneo assai più povero di emozioni e decisamente meno equilibrato rispetto alla regular-season appena conclusa.

D’accordo, c’erano i bianconeri Buffon, Nedved, Del Piero e Trezeguet, c’era il blasone più o meno antico del Genoa e del Napoli, un pubblico e un audience mai visti prima, ma non vi erano formazioni in grado di tenere testa e limitare lo strapotere tecnico del trio di Grandi. Altro che torneo di B più bello e affascinante di sempre! Pochi scossoni, tutto scritto e scontato fin dalla vigilia: tra le due stagioni, allora, io scelgo senza dubbio quest’ultima. Per restare ai piani alti, scelgo l'annata dello spumeggiante Chievo di Iachini e Pellissier, del quadrato Bologna di Arrigoni e Marazzina, del Lecce del Tir Tiribocchi, del sorprendente Albinoleffe, del Brescia cosmico, del Pisa corsaro, del Rimini comunque combattivo e via discorrendo; un’annata, insomma, di sicuro meno nobile della scorsa, oscurata oltretutto dalle tv, ma per lo meno ricca di sussulti e sensazioni forti, competitiva, in bilico fino alla fine. E anche oltre.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 2 giugno 2008)