venerdì 29 febbraio 2008

Mazzarri volta pagina: "Col Toro rivoglio la mia Samp"

BOGLIASCO (GE) - “Siamo in emergenza, in forte emergenza, in difesa soprattutto”. Walter Mazzarri non usa mezzi termini. Accardi e Sala s’allenano a parte e sono in forte dubbio, Campagnaro - confermata la lesione muscolare al polpaccio destro - fuori causa per un mese; Zenoni è inoltre squalificato, e Bellucci - comunque in miglioramento -, insieme col lungodegente Montella, staziona ancora ai box. Nonostante le assenze, per cancellare la debacle in terra orobica (“Abbiamo sbagliato partita sul piano mentale, nervoso e fisico. Non parlatemi di turn-over: ho fatto alcune scelte dettate dalla situazione e mi auguravo che i giocatori freschi potessero avere stimoli particolari”), contro il Torino dell’ex Novellino, serviranno i tre punti.

Il modo per ottenerli è uno solo: “Vorrei vedere giocare i miei calciatori come hanno giocato contro il Palermo o contro l’Inter; con lo stesso spirito messo in campo dall’Atalanta contro di noi: da squadra, da squadra che arrivava prima sul pallone, che ci ha surclassato in intensità e che, ogni volta che perdeva palla, la rincorreva. Col Torino io voglio questo”. Anche se non sarà facile. “Troviamo una formazione in grande forma - ammette il tecnico di San Vincenzo -, dai grandi valori. Hanno fatto ingenti investimenti ad inizio anno e si sono ulteriormente rinforzati durante il mercato di gennaio. Sarà una partita terribile, difficilissima”.

Un po’ meno - forse - se si tiene conto del rientro, dopo il mercoledì di stop, di Antonio Cassano, un’arma che solo uno stupido potrebbe non reputare indispensabile, ma dalla quale non si può giocoforza dipendere, soprattutto a causa delle condizioni fisiche del ragazzo, reduce - come ha sovente ricordato lo stesso Mazzarri - da quasi tre anni di inattività. La sconfitta di Bergamo non può quindi imputarsi al precauzionale forfait di Peter Pan: “Certo, la sua importanza non si discute, ma dobbiamo ricordare che, ad esempio, Cassano mancava anche nella trasferta di Torino contro la Juventus. In quell’occasione, però, a differenza di mercoledì, la squadra ha tenuto l’assetto, ha tenuto il campo in un certo modo e si è riusciti a portare a casa un risultato positivo. Ierlaltro non c’era Cassano e non c’era neppure Bellucci, che è uno di cui si parla troppo poco. Sino ad oggi, Bellucci è stato l’unico giocatore insostituibile, fondamentale per noi. Ma credete comunque che con loro in campo non si sarebbero presi quattro gol? Io penso ci sia mancata solo la lucidità, mancanza figlia del dispendio di energie in occasione del derby e della gara con l’Inter: non è semplice recuperare in due giorni appena. E poi, purtroppo, si fanno partite bellissime e si perde gente, si perdono giocatori appena trovi la quadratura del cerchio”.

Appurate le defezioni, la quadratura di domenica dovrebbe essere pressappoco delineata nella mente del mister. A meno di un recupero-lampo di Accardi, il pacchetto difensivo davanti a Castellazzi rimarrà - obbligatoriamente - lo stesso di mercoledì, ovvero Miglionico, Gastaldello e Lucchini. A centrocampo Maggio e Pieri si riprenderanno le corsie laterali, Palombo la fascia di capitano e il ruolo di catalizzatore della manovra, mentre Franceschini tornerà a ringhiare sul centrosinistra. Se il tandem offensivo Cassano-Bonazzoli non è in discussione, l’unico dubbio parrebbe riguardare il nome del quinto mediano: Sammarco sembra in leggero vantaggio su Delvecchio.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 29 febbraio 2008)

giovedì 28 febbraio 2008

WAN, mi ritorni in mente

Secondo solo a Vujadin Boskov, più presente di Fulvio Bernardini. Centottantasei panchine in campionato (più altre trentaquattro tra Coppa Italia e Uefa) saranno difficili da dimenticare. Così come il suo essere meticoloso, istintivo, sanguigno. Pignolo ai limiti della sopportazione, testardo ai limiti della cocciutaggine; aziendalista sì ma ultimamente neanche troppo convinto. In cinque anni a Genova, in cinque anni di Sampdoria, Walter Alfredo Novellino ha dato e ricevuto tanto, ha riscosso elogi e attirato critiche, ha suscitato apprezzamenti e scatenato - o rinfocolato - antipatie. Personaggio schietto, all'opposto di un maestro di oratoria, mai troppo a proprio agio davanti a taccuini e telecamere, Monzon è riuscito comunque a farsi amare. Mai, nella sua vita da mister, gli era capitato di rimanere in sella alla stessa panchina per più di due stagioni.

Al Doria, fino all'inevitabile separazione avvenuta lo scorso giugno, aveva aperto un ciclo, trovato l'habitat ideale, in campo e fuori, aveva rigenerato uomini e calciatori: aveva - insomma - compiuto una serie invidiabile di miracoli pallonari. Il tutto - sia chiaro - ritrovandosi spesso e volentieri a fare di necessità virtù, le classiche nozze coi fichi secchi, costretto a confrontarsi con rose e parchi giocatori ridotti all'osso, sia sul piano numerico sia in tema di tasso tecnico, di classe. Fatto sta che, tra carenze d'organico, squalifiche (Flachi in primis), infortuni seri (su tutti quelli occorsi a Falcone, Bazzani e Bonazzoli) e acciacchi vari, le ultime due annate alla guida della ciurma doriana si sono rivelate avare di soddisfazioni, di guizzi, di ambizioni, povere di sogni e di quelle fantasie che per un certo periodo erano volate libere. Troppo poco la doppia semifinale di Coppa Italia persa contro l'Inter, troppo poco l'accesso all'Intertoto nello scorso campionato.

E così le prime tre esaltanti stagioni - promozione in Serie A con tanto di “tre su tre” nei derby del 2003, Coppa Uefa accarezzata nel 2004, quarto posto e Champions League sfiorati nel 2005 - hanno quasi finito per venire offuscate dal tedio, dal grigiore degli ultimi tempi e lasciar inesorabilmente spazio ad un crescente malcontento in tutto l'ambiente blucerchiato. Plausibile certo: la qualità del gioco, ancorato all'insistente ed obsoleta ortodossia del 4-4-2, ha sovente latitato; di scelte biasimevoli - alle soglie della belinata - ne ha fatte, e parecchie, anche lui (vedi, ad esempio, cacciare in fretta e furia i vari Domizzi, il primo Delvecchio e Borriello, costringere Doni a fare l'esterno, ecc.).

Ma al tecnico di Montemarano non si possono imputare ulteriori colpe o responsabilità: il sarto - si diceva in tempi non sospetti - usa la stoffa che ha e di stoffa - occorre ammetterlo con estrema serenità - Novellino ne ha sempre avuta a disposizione troppo poca e troppo grezza. Un'ala destra di ruolo non l'ha mai vista, Flachi a parte, gente come Cassano, Montella o il richiestissimo Chino Recoba se l'è sempre sognata. E, anche per questo, pur con tutti i suoi limiti, le sue manie, i suoi modi da burbero brusco e scontroso, i sostenitori della Sampdoria - come dimostrato lo scorso 20 maggio in occasione dell'ultimo match casalingo sulla panchina blucerchiata contro il Catania - non potranno mai scordarsi di lui.

Federico Berlingheri

mercoledì 27 febbraio 2008

Promossi & Bocciati di Atalanta-Sampdoria

Doni: Troppo scontata la metafora del toro che s’infervora non appena vede il rosso? Beh, per stasera, lasciatela passare. Sarebbe curioso capire cosa scatta dentro Cristiano non appena vede blucerchiato… Da avvelenato ex, è infatti al quarto centro in due partite contro il Doria, decimo totale in questo campionato. Doppietta d’oro quindi, ma non solo: giocate sontuose, passaggi smarcanti e piglio da trascinatore lo elevano a protagonista assoluto della contesa. Voto 8

L’Atalanta: “Come gioca l’Atalanta…”. L’assai abusato tormentone di Maurizio Mosca calzerebbe a pennello per i nerazzurri delneriani di questa sera. D’altronde, non pare più una novità: quando la Dea gira come si deve - compatta, rapida e arrembante - non ce n’è quasi per nessuno. Figuriamoci per questa Sampdoria (voto 4) ai limiti dell’imbarazzo. Voto 7/8

Ferreira Pinto&Langella: È proprio vero che le ali permettono di volare. Chiedetelo a un tipo come Del Neri (ineccepibile stratega. Voto 7,5) che del gioco sulle fasce ha fatto il suo credo fondamentale. In tal senso, con due tipi quali il paranaense a destra e Arrogu Tottu dalla parte opposta si dormono sonni tranquilli. Intensità e qualità garantite al servizio della squadra e delle punte che ringraziano. Voto 7,5

Floccari: A ringraziare - il mancino di Langella - c’è anche il centravanti di Vibo Valentia, autore del 3-1, del terzo gol in tre giorni e di una - pregevole - prestazione tutta cuore, sponde e sudore. Voto 7,5

Guarente&Tissone: Se sulle fasce si viaggia a mille, il merito è anche loro. Le geometrie euclidee non difettano a questa coppia pisano-argentina che, col pallone tra i piedi, sa sempre cosa fare. E lo fa - sempre - assai bene. Voto 7

Pieri: La Cavalletta grossetana entra a frittata già bella che pronta, almeno prova a metterci corsa e agonismo. I cross, però, lasciano alquanto a desiderare. Voto 5,5

Mazzarri: Con Accardi, Sala, Bellucci e - soprattutto - Cassano a casa perché indisponibili, Campagnaro fuori dopo un quarto d’ora, qualche attenuante ci può anche stare. Non ci sta, di contro, rivoltare la squadra - la mediana (vedi sotto) in particolare - come un calzino e riesumare contemporaneamente due esterni che definire impresentabili (vedi ancora più sotto) sarebbe già un complimento. Voto 5

La mediana doriana: Maggio sul centrodestra - perché?! - vaga a vuoto, Sammarco è fuori forma e si vede, Delvecchio sgomita e nulla più, capitan Volpi non catalizza la manovra e affonda col resto della ciurma. E intanto Palombo e Franceschini - i centrocampisti più in palla - rifiatano in panca. Ce n’era proprio bisogno? Voto 4,5

Zenoni&Ziegler: Certo, non è semplice liberarsi di naftalina e ragnatele una volta richiamati in causa dall’inizio dopo mesi di anonimato, e ritrovarsi inoltre di fronte due ire di Dio come Ferreira Pinto e Langella. Ma a tutto c’è un limite! La doppia Z laterale non funziona affatto e una tale inefficienza proprio sul piatto forte dei padroni di casa dà il la alla deriva genovese. Voto 4

Le dormite dei difensori davanti a Castellazzi: Nella Caporetto doriana si poteva salvare la retroguardia che ha incassato quattro pappine? Ma figuriamoci! Voto 2

Federico Berlingheri
(Goal.com, 28 gennaio 2008)

Volpi illude, Doni castiga: il Doria naufraga a Bergamo

Lampo di Volpi, poi il buio più totale. Dura soltanto 10 giri d’orologio la speranza doriana di tornare da Bergamo con in tasca il bottino pieno nonostante le pesanti assenze. Dall’11’ si scatena infatti un’Atalanta da applausi, intensa e travolgente, trascinata da un superbo Cristiano Doni, solito ex col dente avvelenato. Il capitano ne segna due, Floccari (in chiusura di primo tempo) e Capelli (in apertura di ripresa) uno a testa: alla fine è un 4-1 netto, mai in discussione, che proietta i nerazzurri in zona-Uefa e conferma la preoccupante idiosincrasia della Sampdoria per le gare lontano da Marassi.

Nei padroni di casa, ancora fuori Carrozzieri, Capelli si riprende il posto da centrale di difesa, Manfredini viene dirottato a sinistra in vece di Bellini; in linea mediana Guarente vince il ballottaggio con De Ascentis, mentre Langella, smaltita l’influenza, torna a sfrecciare sulla corsia mancina. Nel Doria, orfano di Accardi, Cassano e Bellucci, Mazzarri mischia - forse un po’ troppo - le carte: Zenoni viene schierato di nuovo titolare in campionato dopo quasi quattro mesi; a centrocampo rifiatano Palombo, Franceschini e Pieri, giocano Volpi, Sammarco e Ziegler; Maggio agisce da centrale e Delvecchio appoggia l’unica punta Bonazzoli.

Dopo due minuti, è subito gol: ci pensa proprio il rientrante capitan Volpi a portare in vantaggio i biancocerchiati con una botta terrificante dai 25 metri, botta di destro che sorprende Coppola. Esulta con rabbia, Sergio, sfogandosi sotto lo spicchio di Sud trasferitosi in quello che fu il “Brumana”. La risposta dell’Atalanta si fa attendere. Arriva all’improvviso, all’11’: Langella serve Doni, che decentrato sulla sinistra, entra in area e conclude ad incrociare, ma Castellazzi respinge senza affanni. Non può niente il portiere di Gorgonzola, un minuto dopo, sul colpo di testa dello stesso capitano bergamasco. Pregevole il cross mancino di Arrogu Tottu Langella, altrettanto l’incornata dell’ex Cristiano e 1-1 quasi immediato. La Samp subisce il pari e - per la serie le disgrazie non vengono mai da sole - perde subito Campagnaro per un presunto stiramento al polpaccio destro. Lo sostituisce l’uruguayano Miglionico all’esordio in trasferta, dopo la prima casalinga di tre giorni fa con l’Inter. Ora l’Atalanta prende coraggio e in mano le redini della gara. La supremazia territoriale bergamasca pare evidente e ancora Doni la legittima raddoppiando poco dopo la mezz’ora. Manfredini si ritrova solo soletto in area sugli sviluppi di un cross dalla destra di Ferreira Pinto, conclude, Castellazzi non trattiene e il trentaquattrenne numero 72, appostato nell’area piccola, approfittando della dormita delle retroguardia doriana e anticipando persino la coppia di compagni Floccari-Pellegrino, deposita a porta sguarnita il sorpasso e può così rialzare il mento. Imbambolati, senza capo né coda, gli ospiti paiono non esistere, subiscono in mezzo ma soprattutto sulle fasce: Langella a sinistra fa quello che vuole. Al 35’, Arrogu Tottu parte dalla sua metà campo, serve Doni sulla trequarti, palla che gli ritorna e - nonostante sia in fuorigioco - fa partire un traversone sul secondo palo per la zuccata dell’indisturbato Floccari. È il 3-1 per gli uomini di Del Neri, un risultato, vista la sconclusionata manovra mazzarriana, più che meritato. Risultato che potrebbe arrotondarsi al 42’ ma ancora Floccari non capitalizza un rimpallo favorevole.

La ripresa si apre con gli stessi effettivi in campo e lo stesso canovaccio: mediana genovese fantasma, Zenoni e Ziegler impotenti sulle corsie laterali, Ferreira Pinto e Langella rapidissimi e devastanti. Nessuna reazione d’orgoglio quindi. E al 52’, da un calcio di punizione mancino di Guarente, arriva il 4-1: lo segna Capelli, al secondo centro in massima serie, dimenticato nell’area piccola da una difesa disastrosa. Nonostante la debacle sembri assicurata, Mazzarri prova a scuotere i suoi: fuori - finalmente - uno obbrobrioso Ziegler, dentro Pieri. Anche Del Neri, poco dopo, ricorre al cambio, facendo rifiatare l'imprendibile Langella e inserendo Padoin. L’Atalanta decide di allentare la pressione e il Doria, che dovrebbe almeno tentare di avvicinarsi all’area di Coppola, si adegua mestamente ai ritmi blandi. D'ora in avanti, degne di nota divengono soltanto le sostituzioni: Kalu per uno spaesato Maggio, De Ascentis per l’euclideo Guarente, Paolucci per un sontuoso Doni, che si prende la meritata standing-ovation, sacrosanto epilogo di una prestazione da incorniciare.

Federico Berlingheri

Tabellino

Atalanta-Sampdoria 4-1

Reti: 2’ Volpi, 13’ e 31’ Doni, 35’ Floccari, 52’ Capelli

Atalanta (4-4-1-1): Coppola 6; Rivalta 6, Capelli 7, Pellegrino 6,5, Manfredini 6,5; Ferreira Pinto 7,5, Tissone 7, Guarente 7 (76’ De Ascentis s.v.), Langella 7,5 (57’ Padoin 6); Doni 8 (80’ Paolucci s.v.); Floccari 7,5. All. Del Neri 7,5

Sampdoria (3-5-1-1): Castellazzi 5,5; Campagnaro s.v. (17’ Miglionico 4,5), Gastaldello 4,5, Lucchini 4,5; Zenoni 4, Maggio 5 (73’ Kalu 5,5), Volpi 5, Sammarco 5, Ziegler 4 (53’ Pieri 5,5); Delvecchio 5,5; Bonazzoli 5. All. Mazzarri 5

Arbitro: Ciampi di Roma 5,5

Ammoniti: Ziegler, Rivalta, Zenoni, Gastaldello


(Goal.com, 27 febbraio 2008)

martedì 26 febbraio 2008

Del Neri, un gol nel derby e dirsi addio

Stadio “Luigi Ferraris” di Genova. Domenica 7 dicembre 1980, tredicesima di andata: è derby di Serie B. La Sampdoria - che gioca in casa - attacca sotto la Sud. Minuto 35 del primo tempo; calcio d'angolo dalla sinistra. Davanti a 50 mila spettatori - per un record di incassi pari a 250 milioni di lire - una bionda e baffuta mezzala di Aquileia si appresta a calciare col destro il tiro dalla bandierina. La palla, sospinta dalla violenta tramontana, finisce per insaccarsi sul palo più lontano alle spalle del numero uno genoano Silvano Martina, sorpreso e uccellato dalla strana e beffarda traiettoria. 1-0 Doria, per una rete - subito pareggiata da un rigore del rossoblù Tiziano Manfrin - particolarmente bizzarra ed entrata quindi nella storia.

L'avventura in blucerchiato di Gigi Del Neri - la mezzala in questione - è quasi tutta qui. Prelevato dall'Udinese durante la campagna di rafforzamento '80-81 targata Mantovani-Nassi, il centrocampista friulano, all'epoca esperto trentenne, disputò da sampdoriano soltanto una discreta stagione, quella in cui la formazione di Enzo Riccomini mancò la promozione in massima serie classificandosi al quinto posto alle spalle di Milan, Genoa, Cesena e Lazio. Prima di ripartire alla volta di Vicenza, per l'attuale mister dell’Atalanta 33 presenze in campionato (più due in Coppa Italia) e quell'unico gol ai cugini rossoblù direttamente da calcio d'angolo, supportato dallo zampino del vento, che raramente sarà dimenticato.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 26 febbraio 2008)

Rimpianto Lavezzi, rossoblù al momento sbagliato

Meglio Borriello-Leon, Borriello-Di Vaio o Borriello-Figueroa? Considerato che d’ora in avanti, con tutta probabilità, Gasperini farà affidamento sul modulo a due punte, di sicuro quello composto da Borriello e Lavezzi sarebbe stato, nell’immaginario dei sostenitori rossoblù, il tandem dei sogni. Completi, complementari, fatti uno per l’altro: una coppia giovane - il primo dell’82, il secondo dell’85 - e formidabile, in grado di coniugare potenza e classe, fisico ed imprevedibilità, una coppia che al Genoa avrebbe potuto fare sfracelli; e invece fomenta solo rimpianti.

I rimpianti sono tutti per un Ezequiel Lavezzi appena ventenne, capello corto, viso sbarbato e qualche tatuaggio in meno, sbarcato all’ombra della Lanterna nel periodo forse più buio della storia del Grifone: la caldissima e funesta estate del 2005. Come per i Pooh ne “La mia donna”, solo i tempi erano sbagliati. El Pocho (vezzeggiativo per indicare qualcosa di piccolo, ovvero il Piccoletto), santafesino di Villa Gobernador Gálvez, arrivò in rossoblù accompagnato dalla classica fama che accomuna tutti i fantasisti albicelesti che col pallone ci sanno fare - quella assai scomoda di erede di Diego Armando Maradona - e da un curriculum carico di gol e giocate spettacolari. A differenza del Pibe de oro, però, l’impatto con la realtà italiana non fu - per usare un eufemismo - dei migliori: società sul banco degli imputati, squadra in dissoluzione, nel fuggi-fuggi generale in cui si tramutò il ritiro tirolese di Neustift, il mini-delantero argentino venne accantonato in fretta e furia dal neotecnico Guidolin - che lo etichettò come troppo acerbo e inadatto al calcio nostrano - e ben presto rimpatriato, quasi nell’indifferenza generale dell’ambiente. Tra intercettazioni telefoniche, accuse e difese, pubblici ministeri e avvocati difensori, sentenze, ricorsi e un’incombente retrocessione in terza serie, si finì infatti - anche comprensibilmente - per non accorgersi di avere per le mani un potenziale fuoriclasse, un talento puro che l’occhio vigile del presidente Preziosi sul mercato sudamericano aveva permesso di acquistare, bruciando sul tempo la concorrenza, per circa un milione di euro.

Per una cifra di poco inferiore, Lavezzi se ne tornò invece beffardamente in patria, ancora al San Lorenzo di Almagro, club nel quale era stato “parcheggiato” dalla società rossoblù una volta ingaggiato dall’Estudiantes, e dal quale, l’estate scorsa, il Napoli se lo è aggiudicato per poco più di sei milioni di euro. Quando si dice soldi spesi bene…

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 23 febbraio 2008)

domenica 24 febbraio 2008

Promossi & Bocciati di Sampdoria-Inter

Cassano: Perennemente migliore in campo: oramai è una presenza fissa, protagonista di questa "rubrichetta" domenicale. Semplicemente Antonio Cassano. Inutile aggiungere altro; se non che nella mente del Peter Pan di Barivecchia, attualmente in prestito dal Real Madrid (non dall’Inter!), c’è solo la Sampdoria, squadra che - a sua volta - farà carte false per trattenerlo a Genova e farne un punto fermo per le stagioni che verranno. Voto 8

Crespo: Braccato dalla retroguardia blucerchiata e scarsamente assistito da Suazo (tanto fumo e poco - pochissimo - arrosto. Voto 5), Valdanito vivacchia per 75 minuti, azzeccando poco e nulla. Poi, sull’unico lampo di Stankovic, si ricorda di aver in dote più di 130 gol in massima serie e trafigge Castellazzi non lasciandogli scampo. D’altronde, qualcuno lo chiamava Arma letaleVoto 7

Mazzarri: C’è voluto un po’ di tempo, occorrevano ulteriori verifiche e conferme, ma ora lo si può affermare senza remore: questo signore ha dato un gioco alla Sampdoria. E quest’anno al "Ferraris" - tolta la funesta ripresa contro il Milan - ci si è sempre divertiti. Voto 7

Maggio: D’accordo, siamo a febbraio, ma in questo periodo Maggio "va" che è una meraviglia. L’uomo-Derby di sette giorni fa viaggia ancora come un treno e riesce sempre a rendersi pericoloso. Meno arrembante nella ripresa, ma è comprensibile: ancora qualche scatto e i Fantastici Quattro sarebbero aumentati di un’unità. Voto 7

La difesa doriana: Otto reti subite in dodici partite sono un bel biglietto da visita. Anche contro la corazzata Inter, ecco il solito, grintosissimo bunker di Marassi, che capitola soltanto sul chirurgico colpo di testa di Crespo. Peccato per il Doria e per il campionato, ma bravi lo stesso. Voto 7-

Vieira: Tra i peggiori ad Anfield, fatica a trovare il ritmo anche in questo tiepido e soleggiato pomeriggio genovese, tant’è che si becca quasi subito un’ammonizione sacrosanta per un fallo su Cassano. Il Giraffone d’ebano si riprende però con l’andare dei minuti, andando a rinvigorire una mediana nerazzurra in vistoso debito d'ossigeno. Voto 6

Maxwell: Certo, affrontare questo Maggio non pare semplice per nessuno. Non è esente dalla Furia vicentina l’esterno mancino di Vila Velha, che fatica dietro e non si riscatta davanti: alcuni cross ceffati fanno felici solo gli accalappiatori di palloni. Voto 5,5

Rocchi: I maxischermi del "Ferraris", nel presentarlo, omettono una "c". Da omonima del centravanti della Lazio, la giacchetta gialla fiorentina si ritrova anagraficamente vicino all’epico pugile stalloniano. Per fortuna, non dispensa destri né colpi proibiti: soltanto cartellini gialli - a Vieira, Materazzi e Rivas - ampiamente meritati. Voto 6,5

"Liberate Ingrid Betancourt": Una bella idea, uno striscione esposto a centrocampo da quattro bambini poco prima del fischio d’inizio; uno striscione per non dimenticare l’ex candidata presidenziale colombiana nel sesto anniversario del suo rapimento. Come scrisse il poeta: "Ingrid noi ti aspettiamo e vicini ci avrai, libertà non avremo finché tu non l’avrai". Voto 10, se solo servisse a qualcosa…

Federico Berlingheri
(Goal.com, 24 febbraio 2008)

mercoledì 20 febbraio 2008

Indelebile Mancio. Nel bene e nel male

Quindici anni. Dall’82 al ’97. Cinquecentosessantasei presenze totali, centosettantuno reti. Uno Scudetto, una Coppa delle Coppe, quattro Coppe Italia, una Supercoppa Italiana. Freddi numeri, gelide statistiche. Il lungo racconto che Roberto Mancini e la Sampdoria hanno scritto insieme è anche questo. Ma non solo. Anzi. È ancora oggi sentimenti, opinioni, pareri contrastanti. È ancora oggi amore e odio, adorazione e rancore nei confronti di una bandiera che se n’è andata, che può anche aver tradito, ma che resta pur sempre un calciatore - in ogni caso mai dimenticato - che ha fatto la storia di questa società.

Quindici anni, dicevamo. Tre lustri da protagonista all’ombra di una Lanterna blucerchiata che - come spesso è accaduto con numerosi dei “suoi” più celebri figli - lo ha visto crescere, maturare, diventare marito e padre e poi, non senza polemiche e rimpianti, partire, emigrare alla volta di altri lidi. Genova lo accolse entusiasta ragazzino, non ancora diciottenne enfant prodige ex bolognese, in un caldo, afoso pomeriggio di sole di fine luglio ’82, accompagnato dai genitori nella sede di Via XX per la presentazione ufficiale in maglia blucerchiata. Per indossarla, la prima volta, lo aiutò mamma Marianna. In seguito, col tempo, per il “centravanti che parte da lontano” - come si definì egli stesso il giorno dell’arrivo alla corte di Paolo Mantovani - vestire quella maglia si fece un gesto automatico, naturalissimo tanto che il blu, il bianco, il rosso, il nero con la croce di San Giorgio divennero la sua seconda pelle.

Quella maglia, tra gioie e dolori, soddisfazioni e delusioni, la indossò per quindici anni in giro per l’Italia, per l’Europa e per il mondo. E poco importava se forse, - anzi, no - certamente, proprio a causa di quella maglia, orgogliosamente differente da quelle bicolori a strisce verticali, non sedusse la critica, non sfondò in Nazionale, non divenne il più grande di tutti. Ma che differenza faceva? Alla Samp era il più grande di tutti. Era idolo incontrastato, leader, capitano. Ufficialmente fino al ’97. Esattamente il primo giugno. A Marassi Sampdoria-Fiorentina, ultima giornata di campionato. Il Doria tornava in Europa dopo due stagioni; Roberto, per tutti Bobby-gol, con gli occhi lucidi salutava per l’ultima volta, sotto una pioggia battente, l’amata Gradinata Sud. Diceva addio ad uno stadio, ad una folla commossa, in lacrime come il cielo grigio che lo sovrastava, lanciando quelle maglie blucerchiate con stampati il suo nome, la fascia di capitano ed il numero 10. Poi venne la Lazio. Ma questa è un’altra storia.

Federico Berlingheri

domenica 17 febbraio 2008

Promossi & Bocciati di Genoa-Sampdoria

Cassano: La gente rossoblù lo insulta, lo sbeffeggia, lo fischia; Peter Pan risponde solo come lui sa fare: giocando a calcio. Sente la partita, la tensione non manca di certo, ma il genio - quasi una costante di questa stagione - ha la meglio sulla sregolatezza. Sontuoso e sfrontato, divino e irriviverente. Sublime. Gente, chapeau ad un campione con la "c" maiuscola, un calciatore ritrovato in tutto e per tutto. Voto 8

Maggio: Ha gli occhi chiari e luccicanti di un ex terzino il volto del match-winner della stracittadina genovese numero 98. Una gioia sotto la Sud da ricordare, di quelle da raccontare, un giorno, ai nipotini, magari facendo loro vedere quella maglia biancocerchiata numero 7 che tra qualche giorno andrà ad arricchire le pareti di casa sua. Prestazione da sette-polmoni e godimento enorme, certo, che però, fino all'87', sembrava lontano anni luce: le cinque occasioni capitategli sui piedi nell'arco di novantasette minuti e puntualmente fallite - vuoi per interpretazioni arbitrali, vuoi per mancanza di precisione, vuoi per bravura degli avversari - stavano diventando troppe... Voto 7 +

Konko: Lungi dall'essere blasfemo, ma il dono dell'ubiquità è virtù rara. Il numero 24 rossoblù ne è sicuramente dotato. Gioca a tutto campo, te lo trovi ovunque, sempre con la stessa intensità, sempre con la stessa calma olimpica anche in situazioni intricate, sempre con una tecnica invidiabile. E pensare che i margini di miglioramento paiono ancora amplissimi. Il francesino si farà ulteriormente. Statene certi. Voto 7 +

Franceschini: Rambo è tornato. Nei cinema? No, nella metà campo della Sampdoria. Un vero e proprio leone. Voto 7

Campagnaro&Accardi: Cani da guardia impeccabili. Voto 6/7

Borriello: Lotta - al solito - come un ossesso, sgomita e sgobba per due, più volte tenta - invano - la conclusione, senza creare apprensioni a Castellazzi (sicuro e reattivo. Voto 6,5). Per SuperMarco non è affatto giornata. Voto 6

Danilo: Non è il massimo trovarsi di fronte il ciclone Maggio. Quando attacca, l'esterno mancino paulista se la cava anche bene; nella fase difensiva però qualcosa non funziona: due cartellini gialli nel giro di qualche minuto creano i presupposti per la frittata rossoblù. Voto 5

Gasperini
: Manda in campo un Genoa aggressivo, quadrato, con un Leon in meno ed un Di Vaio in più davanti, e nel primo tempo riesce ad imbrigliare la manovra dei doriani. Nella ripresa, ridotti i suoi in dieci e scombussolati i piani, il tecnico di Grugliasco pare andare in confusione - così come i due innesti Lucarelli e Bovo (mai in partita. Voto 5,5) -, una confusione che perdura anche in sala stampa. Voto 5 -

La Nord e la Sud: Tanto colore, un mare di tifo caldo e costante; sfottò, cori e striscioni; nessun incidente. Peccato per quelle norme assurde, peccato per la mancanza di coreografie. Voto 10

Federico Berlingheri
(Goal.com, 17 febbraio 2008)

domenica 10 febbraio 2008

Promossi & Bocciati di Sampdoria-Napoli

Campagnaro: Il solito, fenomenale Hugo. Capace di esaltare il pubblico e di mettere la museruola a clienti mica da ridere come Lavezzi prima e Zalayeta poi, Toro fornisce un’ulteriore prova di forza, in fase difensiva ma anche propositiva. Occhio però a strafare, con dribbling e veroniche: il troppo - come si suol dire - stroppia. Voto 7,5

Delvecchio: Non sarà al top della forma, la corsa non sembra delle più sciolte, ma il suo peso nel centrocampo blucerchiato si fa sentire - eccome -, in particolare nella ripresa. E si fa sentire anche in area partenopea. Apre infatti le marcature con il decimo sigillo personale in Serie A e le chiude con un assist al bacio per il bis di Franceschini: in vista del Derby di domenica prossima, un guerriero ritrovato. Voto 7 +

Franceschini: Ritrova la via della rete dopo quasi dieci mesi d’astinenza, la verve e il dinamismo in linea mediana non li aveva mai persi. Voto 7

Mazzarri: La prima frazione di gara sa tanto di appannamento e assenza d’idee. Nell’intervallo, il mister di San Vincenzo riesce, con gli stessi interpreti, a cambiare le carte in tavola e a conquistare i tre punti. Con pieno merito. Voto 7

Lavezzi: È di sicuro il più pericoloso e pimpante degli azzurri oggi in tenuta rossa. Ma anche tra i più nervosi. La scarsa assistenza di Zalayeta (pesante e impacciato. Voto 5) non lo aiuta. Ed il Pocho viene disinnescato senza troppa apprensione da un Accardi (concentrato e rognoso al punto giusto. Voto 7) tornato ai suoi livelli. Voto 6,5

Il Napoli: Possesso palla, palleggio facile e aggressività. Con queste armi, l’undici napoletano imbriglia la manovra dei padroni di casa per poco più di 45 giri d’orologio. Unica pecca: i tiri in porta non arrivano; e nella ripresa ci si dimentica di tutto. Voto 6,5 per il primo tempo; 5 per il secondo

Reja: Passa buona parte dell’incontro a lamentarsi - di cosa poi? - con Giannoccaro e i suoi collaboratori. Non sarebbe stato meglio modificare in corsa un Napoli nel secondo tempo parso sconclusionato? Voto 5

Hamsik: Non avesse quella pettinatura, nessuno si sarebbe accorto della sua presenza. Voto 5 -

Vietare le trasferte: Ma che senso ha impedire ai tifosi ospiti di seguire la propria squadra fuori le mura amiche se poi li ritroviamo comunque a riempire settori diversi da quello preposto, oltretutto a contatto con i sostenitori di casa? La domanda sorge spontanea, la risposta chi è in grado di darla? Voto 2

Federico Berlingheri
(Goal.com, 10 febbraio 2008)

sabato 9 febbraio 2008

Gianello e Dalla Bona, due meteore blucerchiate

Uno in campo ci sarà di sicuro, a difendere i pali partenopei per via dell’infortunio - con annesso intervento chirurgico - occorso al titolare Iezzo; l’altro, impiegato dall’inizio della stagione in sole due occasioni, scalderà senz’altro qualche poltrona, della tribuna d’onore o di casa sua. Matteo Gianello, veronese di Bovolone, e Samuele Dalla Bona, veneziano di San Donà di Piave, la loro domenica da ex blucerchiati la vivranno agli antipodi, uno da protagonista, l’altro da desaparecido cronico. In comune, però, oltre ai natali nord-orientali, resta una sola annata senza fortune con la maglia della Sampdoria.

Classe 1976, un tempo portiere di belle speranze prodotto dal vivaio del ChievoVerona, Gianello giunse a vestire blucerchiato, in prestito dai clivensi, nella stagione 1994-95, quella - per intenderci - della semifinale di Coppa delle Coppe persa ai rigori contro l’Arsenal. Diciott’anni e un fisico esplosivo permisero al giovane numero uno veneto di conquistarsi la maglia da titolare della Primavera doriana e di comparire nella foto ufficiale della prima squadra, al fianco di Walter Zenga e Giulio Nuciari, rispettivamente titolare e dodicesimo di quel Doria targato Eriksson. Niente di più. Alle spalle dell’Uomo Ragno (sempre presente con 47 presenze totali tra Serie A, Coppa Coppe, Coppa Italia e Supercoppa Italiana) non si aveva affatto vita facile tanto che, a fine stagione, senza nemmeno un gettone racimolato, la riconferma per l’acerbo Gianello non arrivò.

La riconferma - grazie al Cielo - non se la meritò neppure Sam Dalla Bona al termine di un campionato 2005-06 a dir poco disastroso. Lenta, legnosa, impacciata, la bionda mezzala dell’81, prestata dal Milan ma reduce da una discreta esperienza nel Lecce di Zeman, deluse talmente tanto da spazientire non solo Novellino ma persino buona parte del mite pubblico doriano (con qualche tifoso dei Distinti, durante il convulso finale senza vittorie, ci fu anche un pesante battibecco a Sampdoria-Parma in corso). Questione di pelle, questione di un feeling mai sbocciato. Nonostante tutto, però, Dalla Bona riuscì a mettere insieme, tra Serie A, Coppa Uefa e Coppa Italia, ben 38 apparizioni, roba che oggi si sogna nel Napoli di Reja.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 9 febbraio 2008)

Sul bel Galante la colpa di un rigore

Dodici anni da narrare l’uno all’altro. Fabio Galante e il Genoa: tanto ci sarebbe da raccontare e raccontarsi da quando quel giovane e aitante centrale di Montecatini passò dal Grifone spinelliano alla seconda Inter di Moratti junior. Era l’estate del ’96 e il bel difensore classe 1973, giunto tre stagioni prima da Empoli, salutò tutti con all’attivo 90 presenze e 9 reti in rossoblù. Se ne andò così a rinforzare la difesa titolare della Beneamata nerazzurra - con cui conquistò la Coppa Uefa nel ’98 -, poi quella del Toro ed infine quella del Livorno, ma sulla sponda genoana del Bisagno non lo si rimpianse mai del tutto.

Nella mente e negli animi di coloro che hanno a cuore le sorti del Vecchio Balordo, più che quell’1-1 segnato alla Juve, a domicilio, il 13 marzo ’94, più che quell’inutile gol nel Derby del 4 dicembre dello stesso anno, rimase piuttosto un calcio di rigore mandato alle ortiche in un uggioso tardo pomeriggio fiorentino di metà giugno ’95. Stadio “Artemio Franchi”: lo scenario è quello thrilling di Genoa-Padova, drammatico spareggio per rimanere in massima serie. La pioggia, l’ansia, l’attesa, la tensione che si taglia a fette. Le bandiere rossoblù. Il vantaggio patavino di Vlaovic, il quasi immediato pareggio Skuhravy. I tempi regolamentari che si chiudono sull’1-1, i supplementari che non si schiodano dal pari e l’adrenalina che sale a mille in quella che si definisce la lotteria finale. La sequenza mette i brividi ancora oggi: Van’t Schip gol, Fontana parato, Ruotolo gol, Cuicchi gol, Marcolin parato, Perrone gol, Bortolazzi gol, Vlaovic gol, Skurahvy gol, Balleri gol, Galante fuori, Kreek gol. Sul Grifo e sul centrale toscano cascò il mondo addosso.

Ripartire, insieme, da un piattone calciato oltre la traversa, non fu semplice. Tutt’altro. Il bel Fabio finì nel mirino dei contestatori, capro espiatorio di un tracollo annunciato ma mai pienamente digerito. E la separazione, con un anno di ritardo, con una mancata promozione ad inasprire ancor di più i toni, non fece altro che confermare che qualcosa s’era incrinato. Definitivamente.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 9 febbraio 2008)

mercoledì 6 febbraio 2008

Bye bye Viareggio

Viareggio stregato e due sogni vanno in frantumi. Masticano amaro le formazioni Primavera di Genoa e Sampdoria, eliminate entrambe al termine degli ottavi di finale della sessantesima edizione della Coppa Carnevale.

Allo stadio “Dei Pini” di Viareggio, escono di scena i grifoncini di Luca Chiappino. I detentori del torneo, orfani dello squalificato Ledesma e, a gara in corso, dell’infortunato portiere Lamantia, vengono infatti puniti oltre i propri demeriti dalla Fiorentina dell’ex doriano Bollini. Viola subito in doppio vantaggio al 9’ e al 22’, grazie a Diakhatè e Di Carmine; non basta al Genoa l’immediato 2-1 di Masiero perché, solo cinque giri d'orologio più tardi, Lepiller segna il 3-1 e al 43’ del primo tempo chiude i giochi sul 4-1 definitivo.

A Quarrata, invece, sono i giovani blucerchiati a cedere il passo all’Empoli, ma soltanto dopo i calci di rigore (2-1). Assenti Fiorillo (dito ingessato) e Poli (squalificato), in inferiorità numerica dal 20’ della ripresa per l’espulsione (doppia ammonizione) di capitan Lanzoni, il Doria stringe i denti, sfiora il vantaggio con Gabriel Ferrari e rischia di capitolare in due occasioni; nulla di fatto, 0-0: sono i tiri dal dischetto a dirimere la contesa. Ceccarini fa il fenomeno parandone tre, Marilungo, però, sbaglia il penalty decisivo e sancisce la bruciante eliminazione.

Federico Berlingheri

domenica 3 febbraio 2008

Una traversa in un pugno

Una traversa in un pugno. No, non c'entra Celentano. C'entra Andrea Sottil, un duro, un tipo tosto, tutt'altro che da ventiquattromila baci: per lui arrivarono infatti "solo" sei giornate di squalifica, poi ridotte a cinque, e una multa salata. La parabola - è proprio il caso di dirlo - discendente del difensore di Venaria al Genoa si chiuse, sul prato verde, come peggio non avrebbe potuto. Si chiuse al “Garilli” di Piacenza, il 5 giugno 2005, ultima giornata di un campionato di B concluso poi nelle aule di tribunale: serviva una vittoria, al Grifo di Serse Cosmi, per spalancarsi le porte del Paradiso. Quel sabato sera, di contro, nella tana dei biancorossi lupi emiliani di Iachini, la vittoria non giunse, e tutto quello che nei mesi successivi ne seguì si tramutò in un vero e proprio Inferno.

Quel sabato sera, tra cartellini gialli e rossi, feroci polemiche e maxirisse, finì 2-2 (in gol Pepe, Stellone, Marco Rossi, Di Vicino), Sottil colpì una traversa e, a fine gara, nel parapiglia generale, il piacentino Masiello con un pugno in pieno volto, un cazzotto che gli costò sei giornate di squalifica e Genoa-Venezia, decisivo epilogo di stagione. Dopo 36 presenze totali ed una rete (segnata al Vicenza), il colpo del knock-out al connubio tra il Grifone e il rognoso centrale piemontese lo diede però la giustizia sportiva: il Vecchio Balordo, dalla A conquistata col 3-2 sul Venezia, finì nella svalutation della C1; Sottil sbarcò invece, in B, al Catania, dove riottenne la massima serie con dodici mesi di ritardo e oggi, a trentaquattro anni suonati, vive da riserva una delle peggiori annate della propria carriera. E intanto il tempo se ne va.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 3 febbraio 2008)

sabato 2 febbraio 2008

I (dimenticati?) colpi di testa di Topolinik

Da Meroni a Cassano, passando per Chiorri, Mancini, Pato Aguilera, Ortega e Flachi. Nella storia più o meno recente del calcio genovese, le storie di grandi e meno grandi dai piedi magici e raffinati accompagnati da caratterini poco inclini al conformismo e scarsamente avvezzi ad abbassare occhi e orecchie abbondano a dismisura. Dalle aspre e sassose colline del Ragusano che circondano Comiso, partì quella - in piccolo - di Giuseppe Mascara, classe 1979, una carriera altalenante all'insegna dei colpi ad effetto e dei “colpi di testa”, spesa più che altro in serie minori e, sino a qui, tutta sui bollenti campi di quella che un tempo era la Magna Grecia. Tutta tranne una fulminea puntatina al Nord, in un Genoa dallacostiano, sgangherato e bisognoso di liquidi, presentatosi sul mercato del gennaio 2003 con l'incombenza di cedere.

Fu così che Marco Carparelli venne ceduto all'Empoli mentre il promettente regista rumeno Paul Codrea finì al Palermo. Dal capoluogo siciliano spedirono in cambio proprio il centravanti nativo di Caltagirone, peperino tecnico, spettacolare e dalla giocata sempre in canna ma al tempo stesso suscettibile e impulsivo, reduce, oltretutto, da un grave infortunio e afflitto da numerose noie muscolari. Nel Grifone dell'accoppiata Torrente-Lavezzini, il minuto e guizzante Topolinik - soprannome affibbiatogli in seguito dai sostenitori del Catania per via dei suoi sporgenti incisivi superiori - riuscì a combinare ben poco: quasi sempre panchinaro, a fine stagione furono soltanto 13 le presenze racimolate e due, entrambi su rigore, i gol realizzati.

Due gol inutili, che a nulla valsero per evitare la seconda, mesta retrocessione in Serie C della storia del Grifone, che, nel frattempo, era passato nelle mani di Enrico Preziosi. Nella caldissima estate del 2003, il Genoa tornò però ad esultare: i rossoblù vennero infatti ripescati in seguito al caso-Catania e all'allargamento del campionato cadetto a 24 squadre. Un altro caso, quello che gli antichi chiamavano Fato, volle invece che il “nervoso” Mascara chiudesse ben presto l'esperienza genoana e finisse proprio al Catania, squadra della sua città d'origine, dove oggi - dopo aver riportato gli etnei in A dopo ventidue anni di assenza, e nonostante le tre espulsioni più le sette ammonizioni nell'anno di esordio in massima serie - è leader, goleador e beniamino. Anche perché, maturato e avvicinatosi alla trentina, pare proprio aver messo la testa a posto.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 2 febbraio 2008)