sabato 26 aprile 2008

Quando Cagni aveva i baffi (al Genoa)

Da quasi due anni non porta più i baffi. Li tagliò prima di una delicata sfida tra il suo Empoli ed il Chievo di Pillon, poi vinta dagli azzurri toscani per 2-1. Il calcio è anche scaramanzia. Non porta più i baffi, ma Gigi Cagni, quasi cinquantottenne mister bresciano, prima esonerato poi richiamato - tre turni fa - e oggi di nuovo in sella all’Empoli, è rimasto lo stesso di sempre: il Cagni schietto e sincero conosciuto in Liguria durante la complicata esperienza rossoblù - ma anche in quella blucerchiata -, il Cagni brillante e zuccone capace di tirar fuori il meglio di sé nelle situazioni difficili (vedi storica qualificazione-Uefa raggiunta lo scorso maggio coi ciuchini toscani).

Reduce da sei anni memorabili a Piacenza e una deludente stagione e mezza al Verona, il buon Gigi approdò al Genoa di Scerni e Mauro negli ultimi giorni del settembre ’98, sostituendo sulla panchina rossoblù - Vico scriveva di corsi e ricorsi - proprio un acerbo Bepi Pillon alla quinta giornata di campionato. Era il Genoa succursale della Fermana e - per fortuna sua e dei suoi sostenitori - targato Mino Francioso, bomber ex Monza che, con 36 presenze e 16 gol, tolse molte castagne dal fuoco ad una squadra perennemente cantiere aperto. In un continuo andirivieni dei breriani pedatori, il “Pio” di Pegli si tramutò in un porto di mare: tra numerosi acquisti di riparazione - Rossini e Tangorra a settembre, Pirri e Vukoja ad ottobre, Marrocco, Manetti ed Imbriani a gennaio - e cessioni in corsa numericamente altrettanto consistenti - Ametrano, Carfora, Bolla, la meteora Rambaudi prima, Pasa, Piovanelli, Vecchiola, Pelliccia poi -, desaparecidos - Bettella, Marquet, Portanova e Van Dessel su tutti - e fuori rosa di turno reintegrati - Torrente, Ruotolo e Nappi -, il Grifone del compagno-golfista Cagni, caparbio ed ostinato nelle proprie scelte, riuscì comunque a condurre un campionato di quiete, senza troppe apprensioni e ansie da retrocessione.

La matematica salvezza si materializzò infatti alla ventinovesima giornata, al “Giglio” di Reggio Emilia, il 9 maggio ’99, grazie ad una vittoria per 3-1 firmata Ruotolo (doppietta) e Francioso. Per l’allora baffuto mister di Brescia, però, non giunse la riconferma. La dirigenza del Genoa gli preferì l’emergente Delio Rossi e Cagni rimase disoccupato, a spasso proprio come fino a tre giornate fa.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 26 aprile 2008)

domenica 20 aprile 2008

Promossi & Bocciati di Sampdoria-Udinese

Cassano: Sempre più leader, sempre più protagonista, sempre più showman. Non pare più una novità che Antonio dia spettacolo dal primo all’ultimo. Segna, dribbla, incanta, scherza, se la ride, incita, porge l’altra guancia, applaude i compagni e fa espellere un avversario: tra le mura amiche di Marassi è sempre più decisivo. Sarebbe l’ora, però, che cominci ad esserlo anche fuori casa, magari a partire da domenica al “Franchi”… Voto 8

Bellucci: Invecchiando, migliora. Proprio come un bicchiere di Château Margaux, dal quale ci si aspetta molto ma che ripaga puntualmente e pure con gli interessi. La doppietta di questo pomeriggio lo porta a stracciare il record personale di marcature in massima serie: 12 non le aveva mai segnate in vita sua. Quando gira Peter Pan, Bello fa altrettanto. I due s’intendono a meraviglia e tutto ciò che ne deriva non fa che mandare in visibilio la Gradinata Sud. Voto 7,5

Pieri&Franceschini: In Italia la Sinistra arranca, al Doria fa sfracelli. Voto 7 +

Delvecchio: Fioretto e spada al tempo stesso, uomo-ovunque al servizio della mediana blucerchiata. Voto 7

Inler: Non perde mai la bussola, nonostante la giornata udinese non sia delle migliori. Voto 6,5

Quagliarella: Ex applaudito, Quaglia ci prova in tutte le maniere. Invano. Sarà per via dei trascorsi bergamaschi del subentrato Sala (manovale provetto. Voto 6,5) che la retroguardia doriana guidata innalza un muro di cinta davanti a Mirante, muro sul quale il centravanti stabiese sbatte con assidua puntualità. Voto 6+

Di Natale: Un posto fisso agli Europei austro-elvetici, a Totò spetta di diritto. Anche senza Champions, la sua stagione resta stratosferica, malgrado oggi, il confronto con Cassano lo veda di gran lunga soccombere. Voto 5,5

Zapata: Juve? Milan? Fiorentina? A Zena lo chiamerebbero Bella di Torriglia: tutti lo vogliono, nessuno lo piglia. E, vista la prestazione odierna, comprendiamo anche il perché. Voto 5

Zapotocny: Una volta arrivato sulla A21, anziché seguire la direzione Genova E25 Tortona, avrebbe dovuto svoltare per Milano. Al Salone Internazionale del Mobile avrebbe fatto una figura migliore. Voto 4

La bolgia di Marassi: Prima il raggiante corteo degli Ultras per “scortare” il pullman della squadra; poi un “Ferraris” coloratissimo ed infuocato e una cornice di pubblico finalmente importante. Le carte in regola per fare festa c’erano tutte e festa è stata, per Palombo e soci e per la Primavera di Fulvio Pea, trionfatrice nella Coppa Italia di categoria. Pomeriggio da ricordare. Voto 9

Dondarini e i rigori: Regolamento alla mano, avrebbe dovuto fischiarne almeno tre già nel primo tempo (Mirante su Pepe al 13’, mano di Zapotocny al 14’ e Handanovic su Bellucci al 19’). Nella ripresa ne concede uno a Maggio (Lukovic non lo tocca col piede, che è fuori area, ma fa ostruzione col corpo, ampiamente dentro: moviolisti, illuminateci voi), penalty che scatena le ire bianconere. Voto 4,5

Federico Berlingheri
(Goal.com, 29 aprile 2008)

sabato 19 aprile 2008

Floro Flores, l'ex incompreso

Se di rimpianto vero e proprio non si può parlare - anche alla luce di ciò che il ragazzo deve ancora dimostrare in massima serie -, occorre comunque ammettere che il suo addio senza che la società muovesse un dito lasciò perplesso più di un sostenitore blucerchiato. Classe 1983, napoletano purosangue del rione Traiano a dispetto del cognome spagnoleggiante, Antonio Floro Flores fu acquistato dalla Sampdoria nel mercato di riparazione del gennaio 2004. In prestito dal Napoli, dopo neanche sei mesi e 113 minuti con addosso la maglia del Doria numero 24, la seconda punta partenopea riprese infatti, nel silenzio dell’ambiente genovese, la strada dei Campi Flegrei, salvo poi ritrovarsi a spasso per il fallimento della società di Salvatore Naldi, all’epoca in Serie B.

Calciatore giovane, di talento e libero da vincoli contrattuali: caratteristiche tecniche ed economiche, queste, che di solito fanno sfregare le mani al lesto Beppe Marotta. In quell’occasione, di contro, il numero due doriano, forse su indicazione di mister Novellino, non ne approfittò. Malgrado un gol - inutile, ma pur sempre il primo in Serie A - all’esordio il 21 febbraio nella rocambolesca e fradicia sconfitta interna nell’anticipo contro il Parma (1-2: Gilardino grazie ad una papera clamorosa di Antonioli, Bresciano e tap-in in mischia di Antonio, prima di un sacrosanto rigore negato da Farina a Bazzani al quarto di recupero), a ventuno anni appena compiuti, Floro Flores rimase quindi, un po’ a sorpresa, svincolato fino al termine dell’estate 2004. E pensare che, in quella affatto simpatica situazione, si prese persino la soddisfazione di essere convocato in Under 21, entrare a gara in corso e segnare una rete decisiva nella partita di qualificazione agli Europei di categoria del 2006 in casa della Moldova. Un record da guinness per un disoccupato.

Così, poco dopo, arrivò un contratto dal Perugia dei Gaucci, appena retrocesso in B. Sfortuna volle che - proprio come il Napoli di Naldi - la formazione umbra fallì a sua volta l’anno dopo. Nell’agosto 2005, ne approfittò allora l’Arezzo, per Floro Flores (28 centri in due campionati cadetti) squadra-trampolino di lancio e di rilancio verso la Serie A, riconquistata la scorsa estate, tre anni dopo la fugace esperienza blucerchiata, grazie all’Udinese.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 19 aprile 2008)

Siena-Genoa, tra passato, presente e futuro

Il passato è legato al ricordo, il presente è prosaico e ateo, il futuro è il regno della poesia, delle attese, delle speranze, delle possibilità e della casualità. Si potrebbe raccontarla con Feuerbach la sfida nella sfida di domani pomeriggio al vecchio “Rastrello” di Siena. La sfida nella sfida è quella dei tre ex genoani che, insieme col romeno Codrea, militano oggi tra le fila dei bianconeri toscani di Mario Beretta.

Dei tre, il passato è Daniele Portanova; il suo ricordo riaffiora lontano, nient’affatto piacevole. La parentesi rossoblù del trentenne difensore romano - diffidato, ammonito contro la Lazio e perciò squalificato - è datato 1998. Era un Genoa d’azzardo quello. Era il Genoa di Scerni&Mauro, del diesse Rosati, del gruppo-Fermana, dei giovani di - sole - belle speranze. Uno di questi, l’aitante Daniele, conquistò fin da subito la fiducia di Bepi Pillon. Si spiegano con la stima dell’allenatore di Preganziol le 8 presenze da titolare tra Serie B e Coppa Italia in avvio stagionale, presenze che divennero più rade con l’esonero dello stesso Pillon a vantaggio di Gigi Cagni. Col baffuto mister bresciano, la vita genovese del baby Portanova si fece più dura al punto da permettergli di disputare poco meno di cinque minuti nel prosieguo di campionato, prima di partire alla volta di Avellino e non fare mai ritorno.

Manuel Coppola è invece il presente. Presente perché genoano sino lo scorso gennaio e ancora tutto genoano; prosaico perché mediano materialistico, concreto e pragmatico; ateo perché in aperto contrasto con l’ortodossia gasperiniana. Un’ottantina di partite tra A, B e C1 onorando la divisa rossoblù e combattendo per la causa del Genoa, scudiero del centrocampo di due promozioni consecutive: il cuore e il piglio del rasato Manuel erano, sono quelli da Grifo. La Nord, d’altronde, stravedeva, anzi, stravede tuttora per lui. Gian Piero Gasperini, dopo l’ultima strepitosa annata cadetta, un po’ meno. Preferendogli ora Juric ora Paro, ora Milanetto ora Konko, il tecnico di Grugliasco aveva infatti messo il romanaccio col 5 sulla schiena ai margini, nel dimenticatoio delle comode poltrone della panchina o della Tribuna d’onore di Marassi. Scavalcato nelle gerarchie della linea mediana da tutti i pari ruolo, di comune accordo con la società, Coppola finì così nella terra del Palio, in comproprietà, proprio come Forestieri qualche tempo prima.

Poesia, attese, speranze, possibilità, casualità: Fernando Martin Forestieri, il futuro. Son senza sole le strade di Rosario dove, come Ernesto Che Guevara, El Topa vide la luce il 16 gennaio del 1990. Topa, deriva da topador, scavatrice in spagnolo, nomignolo attribuitogli per via della sua notevole forza fisica a dispetto di una corporatura minuta che lo accompagna da sempre. Lo accompagna da quando, bimbo prodigio, venne preso nella cantera santafesina del Newell’s Old Boys: il piccolo Fernando, di ruolo trequartista, il pallone lo accarezzava già come fanno i fenomeni, e il Boca, che di fenomeni se ne intende, non ci mise molto ad accaparrarselo. I Xeneizes se lo portarono a Baires con l’augurio di farne un pilastro dell’avvenire gialloblù; glielo strappò invece Enrico Preziosi, in seguito a un lungo braccio di ferro, a cavallo tra il 2005 e il 2006. A sedici anni e due giorni, Forestieri sbarcò al “Signorini” di Pegli. E, al Genoa, cominciò a stupire. Subito adottato dalla tifoseria, nel gennaio 2007, il fantasista italo-argentino bagnò con un inutile centro all’“Adriatico” di Pescara l’esordio in prima squadra; un mese più tardi, fece le fortune della Primavera di Torrente vincitrice del Viareggio. Poi, più nulla. D’estate, come un fulmine a ciel sereno, l’improvviso distacco. Addio o arrivederci? Saprà risponderci il futuro, regno della poesia, delle attese, delle speranze, delle possibilità e della casualità.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 19 aprile 2008)

domenica 13 aprile 2008

Promossi & Bocciati di Reggina-Sampdoria

La coppia Franco&Ciccio: Non faranno sbellicare dalle risate né avranno lo stesso strepitoso affiatamento del duo comico siciliano, ma il bionomio è comunque coi fiocchi: se Franco (Brienza) pare lesto e scaltro in occasione del gran gol, Ciccio (Cozza) è sontuoso nell’assistenza. Un binomio fresco e spumeggiante, che permette alla Sud amaranto di sperare ancora. Voto 8

Brienza: Chiamatelo Re Mida, chiamatelo Uomo della Provvidenza, chiamatelo un po’ come volete, tanto la solfa non cambia. È sempre e comunque il tascabile fantasista ischitano, nativo - per sbaglio - di Cantù, a prendere per mano questa Reggina. Ottavo centro, vivacità e tecnica da vendere: nel momento più delicato della stagione, dà ai suoi una boccata d’ossigeno forse decisiva. Voto 7,5

Cozza: Come già accennato, è il tocco morbido di capitan Ciccio a servire al match-winner il pallone del definitivo 1-0. Assist quindi, ma non solo. In barba al documento d’identità - a gennaio il numero 10 di Cariati ha compiuto trentaquattro anni -, nell’oretta che gli viene concessa, te lo ritrovi, indemoniato, a tutto campo. Voto 6/7

Fiorillo: Il suo, di documento d’identità, dice invece 13 gennaio 1990. Vince, fresco trionfatore della Coppa Italia Primavera, fa il suo esordio in massima serie su uno dei green più caldi d’Italia a causa dell’infortunio occorso a Castellazzi (incolpevole su Brienza, rischia un lungo stop. Voto 6) e la contemporanea indisponibilità di Mirante. Via l’emozione, entra a muso duro al minuto 65’, uscendo con autorità su Cirillo e neutralizzando coi pugni un tentativo dalla distanza di Barreto. In questo rush finale, potrebbe esserci bisogno di lui. Voto 6,5

Barreto&Cascione: Diga preziosa, quella calabro-paraguayana di Nevio Orlandi, poco spettacolare, però assai efficace. Voto 6,5

Bellucci: Avete presente Ben Stiller nei panni di Greg Fotter in “Ti presento i miei” e nel sequel “Mi presenti i tuoi?”, ossessionato da Jack Byrnes (Robert De Niro), agente della Cia in pensione e padre della sua futura sposa? Ecco, braccato da Aronica e soci (granitici mastini che non lo mollano un attimo. Voto 6,5), oggi al “Granillo”, il Ben doriano fa una vitaccia simile. Voto 5,5

Lucchini: Rintontito prima da un calcio volante di Amoruso, poi da una pallonata in pieno volto, il centrale di Codogno risulta poco lucido nell’occasione cruciale dell’incontro e viene sostituito poco dopo. Non sarebbe stato il caso di alzare prima la bandiera bianca? Voto 5

L’amarcord di Mazzarri: Il 3 aprile 1917, alla stazione Finlandia di Pietrogrado, l’esiliato Lenin ebbe forse un’accoglienza meno calorosa. Accolto sullo Stretto come un eroe patrio, Walter l’indimenticabile vive un pomeriggio d’amore, di sfiga (due infortuni) e al tempo stesso di rimpianto: tornando a Genova con qualche punto, l’Europa sarebbe stata di sicuro più vicina. Voto 9 per il bentornato, 4 per quello che sarebbe potuto essere per il Doria e invece non è stato...

Federico Berlingheri
(Goal.com, 13 aprile 2008)

Stellone, il "Barone" che oggi farà da spettatore

Il Principe e il Barone, che coppia ragazzi! Se pensate si tratti del promo del prossimo lungometraggio di Pieraccioni, magari in tandem con Ceccherini, vi sbagliate di grosso. Stiamo parlando di un duo che, oltre a far strabuzzare gli occhi di chi ha contratto il bacillo del tifo rossoblù, riuscì a riportare a suon di reti e giocate spettacolari, il Genoa in Serie A. 2004-05, i due in questione - avrete intuito - Diego Alberto Milito, il Principe, e Roberto Stellone, il Barone, ovvero 38 gol totali in una sola stagione; 21 il delantero di Baires, 17 il centravanti romano. Roba da record se si pensa che Pato Aguilera e Tomasone Skuhravy, nell’annus memorabilis ’90-91, ne segnarono 30, 15 a testa. Roba da mangiarsi le mani se si pensa che quel Grifone si ritrovò scaraventato in terza serie per illecito sportivo.

Di quella cavalcata finita in tragedia - sportiva e non -, Milito, rappresentò la certezza, una perentoria conferma dopo i 12 centri nello scorcio di campionato precedente; Stello, invece, si rivelò una piacevolissima sorpresa. Dopo gli alterni fasti di Napoli, il calvo ventisettenne ne veniva infatti da un anno più scuro che chiaro alla Reggina, un sacco di guai fisici e un periodo abbastanza ampio di appannamento. E, anche al principio dell’esperienza rossoblù, il Barone non diede segni di ripresa, tanto che finì per assistere da spettatore all’avvio stagionale: ai box in Coppa Italia con De Canio, titolare a Modena all’esordio in B e alla prima di Cosmi in panchina, fuori per i cinque turni successivi, dentro per qualche minuto contro Bari e Treviso, e ancora fuori contro Arezzo e Verona, Stellone tornò dal primo minuto solo contro l’Albinoleffe, all’undicesima giornata. Era il 30 ottobre 2004: cominciò lì la stagione dell’attaccante cresciuto nella Lodigiani di San Basilio. Cominciò con una doppietta ai minuti 11 e 68 per divenire la migliore, la più prolifica di sempre. Potente, fisico, elegante: come dimostrano i numeri, nel binomio d’alto lignaggio insieme col Principe, il Barone - finalmente, calvinianamente rampante - s’integrò alla perfezione. Con quella maglia numero 22, Stellone fece vere e proprio faville, rivelandosi fondamentale specialmente nel girone di ritorno - quando tolse parecchie castagne dal fuoco ad una squadra in debito d’ossigeno - segnando in tutti i modi e maniere e battendo il proprio record personale di marcature tra i professionisti.

Come visto, a fine anno, i gol furono addirittura 17 in 29 gare, un primato estemporaneo però, destinato - pare - a restare tale. In tre annate nel resuscitato Toro di Cairo, infatti, dove si rifugiò tre anni or sono in seguito al declassamento del Vecchio Balordo in Serie C, Stello ne ha segnati solo 14: 7 (2005-06), 4 (2006-07) e 3 (2007-08). Magro bottino per un centravanti delle sue potenzialità, bottino che la squalifica di questo pomeriggio non aiuterà di sicuro a migliorare.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 13 aprile 2008)

venerdì 11 aprile 2008

Fiorillo vola, Bianco segna: alza la Coppa, Sampdoria!

Lunga, dura, faticosa. Estenuante. E pure bagnata. Alla fine meritata. La Sampdoria Primavera sbanca Bergamo e si aggiudica ai calci di rigore la Tim Cup di categoria. Ci sono voluti infatti più di 210 minuti per decidere le sorti della doppia finale tra i ragazzi di Fulvio Pea e l’Atalanta di Alessio Pala, e, alla lunga, ha trionfato la formazione più convinta delle proprie - notevoli - individualità.

Sotto la pioggia battente dell’“Atleti Azzurri d’Italia” la contesa è fin da subito assai equilibrata, ancora incerta visto il pareggio a reti bianche dell’andata. Davanti al folto pubblico che affolla le tribune del vecchio “Brumana”, pochi i sussulti del primo tempo e tutti nel finale: Gian Bianco coglie il palo da calcio piazzato (41’), Tobia Fusciello incorna a lato sugli sviluppi di un traversone dalla sinistra (44’).

La ripresa si apre con un cambio doriano: Mustacchio rileva Eramo sulla corsia di destra, difendendo e spingendo come un ossesso e con lo stesso costrutto. L’Atalanta, dal canto suo, trascinata da un sontuoso e intermittente Bonaventura, pare aver trovato la quadratura del cerchio. Ma al 56’ la possibile svolta si materializza quando Fusciello stende Poli in area di rigore. Il direttore di gara Guida non ha dubbi; dagli undici metri si presenta Marilungo, il quale, davanti a Andreoletti, spara malamente in Curva Nord. Prendono coraggio allora i baby nerazzurri. Ci prova al 68’ il neoentrato Spampati: Fiorillo vola in corner. Escono Scappini e Fusciello, entrano forze fresche come Gabe Ferrari e Serigne Gueye. La solfa, però, non cambia, con la Dea più intensa in mediana e biancocerchiati velleitari in avanti. Il Doria ha un solo sussulto nel finale: all’87’, Signori non trova il guizzo negli ultimi metri e si va così ai supplementari.

Spompate, anche per via del prato reso a pantano, le due contendenti non tirano comunque i remi in barca. Ora i più convinti paiono gli ospiti anche per via dell’uscita dal campo del sempre pericoloso ma impreciso centravanti nerazzurro Marconi (102’). Due minuti più tardi si fa male il capitano doriano, Lanzoni, costretto anch’egli ad uscire. Entra Sembroni, Koman si prende la fascia. Lo stesso Sembroni rischia l’autogol ad una manciata di minuti dai penalty: Fiorillo risolve di petto. Anche i secondi 15’ terminano con un nulla di fatto. Due ore di gioco non bastano a decidere quale bacheca avrà in bella mostra la coppa.

Lotteria dei rigori quindi. Vince Fiorillo, grillo verdecerchiato, si supera su Locatelli e Perico; i centri di Barbetti e Cerea si rivelano inutili perché per il Doria segnano tutti: Poli, Koman, Signori e infine Bianco. Le lacrime di gioia dell’esterno mancino, al cospetto della cinquantina di tifosi del Doria giunti in terra orobica, dicono tutto, valgono più di mille battute di tastiera; e fanno esplodere la festa. Festa meritata.

Dopo gli ormai lontani trionfi al Torneo di Viareggio (1950, 1958, 1963, 1977), il palmares del settore giovanile blucerchiato, a secco di trofei di primo piano da più di trent’anni, torna così a rinfrescarsi. Merito di mister Fulvio Pea, del suo staff, dei suoi ragazzi; merito soprattutto della società, sempre accorta e premurosa nei confronti del proprio vivaio.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 12 aprile 2008)

giovedì 10 aprile 2008

Finale Tim Cup: il Doria a Bergamo in cerca dell'impresa

Se non proprio con la Storia con la “s” maiuscola, l’appuntamento è comunque di quelli importanti, di quelli che, se vanno come devono andare, ti restano dentro per tutta la vita. Questa sera alle 21 (diretta su Sky Calcio 1 e aggiornamenti in tempo reale su www.sampdoria.it) all’“Atleti Azzurri d’Italia” di Bergamo, c’è in palio la Tim Cup Primavera. Nel ritorno della doppia finale contro l’Atalanta di Alessio Pala, la Sampdoria di Fulvio Pea, prima in classifica nel girone A del campionato, ha tutte le carte in regola per poter rimediare al non proprio entusiasmante pareggio a reti inviolate dell’andata marassina.

Federico Berlingheri

mercoledì 9 aprile 2008

La seconda giovinezza di "Nick Piede Caldo"

Lo chiamavano Nick Dinamite. O meglio ancora Nick Piede Caldo. Soprannomi, nomignoli da spaghetti-western più che da campi di calcio. Eppure Nicola Amoruso da Cerignola o da San Giovanni Rotondo che dir si voglia - l'incertezza sul luogo di nascita contribuisce ad aggiungergli quel non so che da misterioso gringo -, anziché frequentare saloon, trangugiare alcol o sfidare a duello qualche pistolero messicano, ha sempre avuto un altro vizio: il gol in canna. Sui campetti della provincia foggiana, con la divisa del Trinitapoli, o al Nord, con la maglia blucerchiata della Primavera della Sampdoria, poco cambiava; la caratteristica peculiare del longilineo e tecnico centravanti restava la stessa. Reti a grappoli. Erano i primi anni '90. Nicola, moretto ricciolino classe 1974, poco più che un ragazzino.

In Liguria, dalle giovanili - in cui spopolava in coppia con un altro “bimbo d'oro”, Claudio Bellucci -, il successivo passo alla prima squadra fu abbastanza breve. L'allora direttore tecnico Sven-Göran Eriksson lo inserì in pianta stabile nella rosa che, trascinata da uno stratosferico Ruud Gullit, si classificò al terzo posto a fine stagione '93-94 e conquistò l'ultima Coppa Italia, la quarta. Ma andiamo con ordine. Andiamo al 12 dicembre di quell'anno sportivo, quando Amoruso si tolse la soddisfazione di esordire in Serie A, alla tenera età di diciannove anni da poco compiuti.

A spalancargli le porte della massima serie fu un infortunio dello sfortunatissimo Mauro Bertarelli, che indusse il mister di Torsby a gettarlo nella mischia al minuto 22 del primo tempo di Inter-Sampdoria, nel sontuoso palcoscenico di San Siro. Una “prima” alla Scala del calcio non è da tutti. Peccato, però, che quel 3-0 che il Doria subì sotto i colpi inferti da Battistini, Jugovic (autorete) e Bergkamp guastò la festa al giovane debuttante. La prima autentica cartuccia non tardò comunque ad essere sparata. Partì dal piede destro qualche tempo più tardi, il 6 febbraio '94, alla quarta presenza di Nick tra i “grandi”: subentrato nella ripresa a Lombardo, la punta pugliese pose il sigillo sul definito 6-2 col quale i blucerchiati surclassarono a Marassi l'Udinese. Poi, il bis siglato il 17 aprile ancora tra le mura amiche del “Ferraris” contro l'Inter ed il tris firmato una settimana dopo a Reggio Emilia portarono il bottino di Amoruso a 3 gol in 8 gettoni. Niente male per un baby esordiente, autore più che altro di scampoli, spezzoni di partita.

L'età gli sorrideva; la critica pure. I tifosi già stravedevano per lui, il ragazzo semplice, educato, dalla faccia pulita, dalle gambe lunghe e gracili, il bomber del futuro. La società, guidata dal neo-presidente Enrico Mantovani, decise di mandarlo a farsi le ossa in B, prestandolo alla Fidelis Andria. Stagione '94-95. Si diceva nemo profeta in patria. Fandonie. Il ritorno nel Tacco d'Italia, alla terra d'origine, coincise con un'annata assai prolifica: 34 presenze e 15 centri catalizzarono su Nicola le attenzioni dei maggiori club d'Europa intera. L'anno dopo, a ventuno anni, fu così Serie A, la grande occasione, da titolare, nel Padova, squadra che ne aveva rilevato la comproprietà nell'operazione di mercato che aveva vestito di blucerchiato Balleri, Maniero e Franceschetti. E quello, per Amoruso, fu anche l'anno della definitiva consacrazione da cecchino d'area di rigore, visto che sfondò nuovamente la soglia della doppia-cifra, colpendo in ben 14 occasioni.

Sampdoria e Padova si ritrovarono così a fine campionato con in mano una metà del cartellino ciascuna. Non si accordarono. Si andò alle buste e, a quel punto, si intromise nelle trattative la Juventus, la quale riuscì - caso strano - nell'intento di portarlo subito a Torino, a titolo definitivo. Tra i rimpianti di molti, il Doria lo perse per sempre, ma Nick Piede Caldo, in bianconero - oltre a vincere di tutto - finì più che altro a scaldare le panchine di mezza Europa. E si perse a sua volta. Da golden-boy emergente si tramutò prima in punta di scorta e poi, a partire dall'estate del '99, in un vero e proprio zingaro del pallone italico. Abbandonata la Vecchia Signora, assicurò, nell'ordine, i propri servigi a Perugia, Napoli, ancora Juve, ancora Perugia, Como, Modena e Messina, prima di finire, due estati fa, alla Reggina. Sulla sponda calabra dello Stretto, a quasi trentaquattro anni, rigenerato la scorsa stagione dalla cura-Mazzarri, Amoruso sta vivendo una seconda giovinezza. Segnando ancora parecchio -ma un po' meno rispetto all'ultimo sensazionale campionato -, tornando implacabile bomber, vecchio condor dell'area di rigore, spietato sottoporta come un vero pistolero.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 9 aprile 2008)

domenica 6 aprile 2008

Promossi & Bocciati di Sampdoria-Livorno

Cassano: Vederlo crescere alla distanza è forse la nota più positiva. A trentacinque giorni dall’espulsione contro il Toro, Peter Pan si (ri)presenta al “Ferraris” con un destro maligno dalla distanza che Amelia mette in angolo. Qualche passaggio fuori misura e qualche assist mal calibrato fanno emergere però l’inevitabile ruggine di cinque turni da spettatore. Paradossalmente migliora a vista d’occhio nella ripresa: la classe è quella vivida, cristallina dei giorni felici: l’assist per il raddoppio di Bonazzoli vale da solo il classico prezzo del biglietto. Voto 7,5

Gli ingressi in campo di Bellucci e Bonazzoli: Entrambi non al meglio, entrano e mutano l’inerzia del match a favore della banda Mazzarri (ancora impeccabile. Voto 7). Bello dà vivacità, Emiliano centimetri e la zampata che mette in cassaforte partita e tre punti. Voto 8

Maggio: Viaggia, l’Hermes blucerchiato. Viaggia sulla destra manco avesse le ali ai piedi. E segna. Terzino di nascita, segna il sesto gol stagionale ad ulteriore riprova che meriterebbe di entrare a pieno titolo nell’Olimpo della Nazionale. Voto 7,5

Pieri: La sua ostinazione è premiata al minuto 67. Ci crede, la Cavalletta grossetana, approfitta del pasticciaccio Balleri-Pulzetti, rincorre un pallone che sembrava rotolare mesto oltre la riga di fondo, lo fa suo e mette in mezzo per l’1-0. Primo tempo guardingo, ripresa all’arrembaggio. Voto 7

Palombo: Il Trent Reznor della mediana. Polistrumentista tuttofare. Dirige la manovra, tampona quando è il caso, dà una mano dietro e, all’evenienza, offende anche. Sempre più leader del concerto intonatissimo che è questa Samp, sempre più lanciata verso palcoscenici europei. Voto 7

Diamanti&Tavano: Rapidi e ficcanti, seppur un po’ troppo isolati nei meandri delle retrovie doriane, riescono a tenere in vita le speranze corsare di un Livorno imbottito di onesti faticatori. Alino crea, Ciccio finalizza, ma per i labronici non è giornata. Voto 6,5

Grandoni: Cassano, soprattutto nel secondo tempo, lo uccella che è un piacere. Il Moschettiere ternano non riesce ad opporre resistenza alcuna. Voto 5,5

Amelia: Non azzecca un rinvio che fosse uno. E nell’azione del gol di Maggio non pare esente da colpe. Appurate le noie alla schiena di Buffon, fa bene Donadoni ad affidarsi ad un secondo così? Voto 5,5

Il nervosismo del Livorno: Quando si è in piena zona pericolo, ci sta essere tesi come corde di violino; e i nervi possono anche saltare (chiedere a o Scio Aldo nel ventre del “Ferraris”…). Ma tre ammonizioni per proteste (Pulzetti, Diamanti e Grandoni) diventano eccessive. Oltretutto Nico era pure diffidato e salterà così lo scontro diretto di domenica contro il Cagliari. Voto 4,5

Le dormite di Balleri e Gastaldello: Quella del primo costa il vantaggio blucerchiato, un infortunio e un’uscita anticipata; quelle del secondo - per fortuna del Doria - soltanto qualche brivido nelle colonne vertebrali dei ventun mila di Marassi. Voto 4

Federico Berlingheri
(Goal.com, 6 aprile 2008)

giovedì 3 aprile 2008

Tra le conquiste di Ferrari non c'è il Grifone

Aida Yespica, Caterina Balivo, Anna Falchi, Debora Salvalaggio. Tra fidanzamenti ufficiali e presunti flirt clandestini, il romanista Matteo Ferrari è un tipo che di conquiste se ne intende. Non conquistò il Genoa, invece, nell’ormai lontano e assai anonimo campionato di B 1997-98. Ad onor del vero, quando sbarcò in rossoblù nel novembre ’97, l’eclettico difensore scuola-Spal aveva appena diciotto anni e nessuna esperienza tra i professionisti: difficile, se non impossibile, imporsi in un ambiente nuovo con un pedigree del genere, fatto di sole giovanili spalline e interiste. Ci riuscì Mohamed Mimmo Kallon, suo coetaneo, come lui prestato dal sodalizio morattiano; non il mulatto Matteo, figlio di un tecnico petrolifero ferrarese e di una guineana, nato in Algeria, ma diventato grande nella terra d’origine del padre.

Claudio Maselli, che aveva da qualche tempo preso il posto di Gaetano Salvemini, lo fece esordire il 30 novembre: a Marassi, Genoa-Monza finì 5-1 e Ferrari debuttò in cadetteria subentrando proprio a Kallon al minuto 92. Da quel momento, il giovane centrale fece la spola tra panca e tribuna, per tornare in campo, finalmente da titolare, addirittura l’8 e il 14 giugno ’98. Ci pensò Tarcisio Burgnich, nel frattempo subentrato a Maselli, a gettarlo ancora nella mischia nel doppio epilogo di campionato contro Ravenna e Padova. Tirate le somme a fine stagione, il patron Scerni e il presidente Mauro non opposero resistenza ad un suo ritorno alla casa-madre Inter, società da cui Ferrari (ri)partì alla volta di Lecce e di altre conquiste, sul prato verde e - soprattutto - fuori.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 3 aprile 2008)