martedì 14 ottobre 2008

14 ottobre 1993 - 14 ottobre 2008: grazie ancora Paolo

Il più grande Presidente della storia della Sampdoria - e non solo - se ne andò esattamente quindici anni fa, nella mattinata di quel mite 14 ottobre del 1993, nella sua cameretta dell’ospedale Galliera. Aveva 63 anni. Pochi mesi prima, in quell’estate di quindici anni fa, regalò al suo Doria, oltre a David Platt e Chicco Evani, un certo Ruud Gullit, allestendo una squadra forse più forte di quella Campione d’Italia nel ’91. Se fosse rimasto lui, la Genova blucerchiata che tanto amava avrebbe forse potuto gioire per un altro Scudetto. Ma chi può dirlo… Il Presidente non rimase.

Se ne andò in quel triste giorno d’ottobre e, insieme a lui, se ne andò un pezzo di Sampdoria. Quella stessa Sampdoria che, nell’estate del ’79, raccolse mesta in B e riportò gagliarda in massima serie tre stagioni più tardi, insieme con Renzaccio Ulivieri. Il Marziano Alviero Chiorri, Sandro Scanziani - artefice numero uno della promozione dell’82 -, il giovane difensore Luca Pellegrini, l’irlandese Liam Brady, lo striker Trevor Francis, l’enfant prodige Roberto Mancini pagato a peso d’oro: furono questi i primi tasselli di un sontuoso mosaico, creato ad arte per rendere grande la Sampdoria. In quella squadra, anche grazie a quel prezioso direttore sportivo che si rivelò il dottor Borea, arrivarono poi lo Zar Pietro Vierchowod, Fausto Pari, Salsanin Salsano, Turbo Moreno Mannini, Charlie-Champagne Souness e, soprattutto, quel Luca Vialli da Cremona, ricciolino poco più che ventenne, sbarbatello ma già campione. E arrivò anche il primo trofeo della storia blucerchiata. Era la notte del 3 luglio del 1985 quando capitan Scanziani sollevò, in un torrido cielo estivo, dopo poco meno di cinquant’anni (e per la prima volta nel secondo dopoguerra), la Coppa Italia al “Luigi Ferraris”.

Era dal lontano ’37, infatti, anno in cui gli antenati genoani vinsero la stessa manifestazione, che Genova - matrigna che tanto, troppo ha impiegato per dedicargli una via - non vedeva vincere niente; era dal lontano ’37 che una squadra genovese non inseriva un trofeo nella propria bacheca. Dopo quasi cinquant’anni, dopo quel 12 agosto del 1946 che vide nascere l’U.C. Sampdoria, il più grande Presidente della storia blucerchiata riuscì a conquistare una Coppa con la “c” maiuscola. E questo fu solo l’inizio. Oltre a quella Coppa Italia, ottenuta battendo nella doppia finale il Milan di Nils Liedholm, vinse, permise ai suoi capitani di alzare altri cinque trofei: altre due Coppe Italia (1988 e 1989), una Coppa delle Coppe (1990), lo Scudetto (1990-91) e una Supercoppa Italiana (1991), affidandosi alla direzione tecnica dello zingaro del pallone Vujadin Boskov; aggiungendo ad un già collaudato telaio, i vari Hans Peter Briegel, Toninho Cerezo, the Wall Pagliuca, Beppe Dossena, Amedeo Carboni, Popeye Lombardo, lo sloveno Srecko Katanec, il sovietico Alekseji Mikhaijlichenko, e chi più ne ha più ne metta. Conquistò - in totale - sei coppe in neanche quindici anni; ne perse due che bruciano ancora. Berna, Wembley, quel fatal Barça di Johan Cruyff, l’arbitro tedesco Schmidhuber, la bomba di Ronald Rambo Koeman: luoghi, attimi, nomi, termini scolpiti nella memoria di tutti i sampdoriani, i più grandi rimpianti della storia blucerchiata. Ma i sampdoriani dimostrarono di saper perdere, sempre.

Insegnò molto alla tifoseria del Doria, ne divenne il padre, affettuoso, sempre prodigo di consigli e di rimproveri; fu esigente spesso e volentieri. Chiedeva sportività, rispetto per l’avversario, del pubblico ospite. Era un calcio a misura d’uomo il suo; un calcio che non aveva nulla a che vedere con quello moderno, che quasi certamente, anzi di sicuro gli sarebbe estraneo. Sportività, lealtà e rispetto sono termini che, oggi, in questo pazzo e corrotto mondo pallonaro del Terzo Millennio, riecheggiano come belle utopie, facili illusioni. Il più grande Presidente della storia della Sampdoria, parafrasando uno striscione degli Ultras Tito Cucchiaroni, esposto al “Bentegodi” prima di Chievo-Samp nel decennale della sua scomparsa, non insegnò “calcio”. Insegnò ai sampdoriani - che in tanti lo hanno ricorderanno oggi, nei pressi della strada che dal luglio 2004 gli è stata intitolata - un vero e proprio stile di vita; quello stile che, ancora oggi, a quindici anni esatti dalla sua morte, porta con orgoglio il nome di Genova in giro per l’Italia, per l’Europa, per il Mondo. E questo anche grazie a lui. Grazie Paolo. Grazie Paolo Mantovani.

Federico Berlingheri
(Goal.com, 14 ottobre 2008)

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