Sguardo intenso, pelata lucida, volto scavato dalle tante battaglie, sul campo e in panchina. Modi pacati, gentili, Luciano Spalletti - Lucio per gli amici - è sempre lo stesso di nove stagioni fa. Uomo perbene, semplice e alla mano, rimasto umile nonostante nel corso degli ultimi anni abbia raccolto con Udinese e Roma quei risultati, quei successi che, nella tribolata esperienza blucerchiata, senza ombra di dubbio latitarono.
Correva il giugno del 1998 quando Enrico Mantovani gli affidò la Sampdoria. Trentanove anni compiuti da qualche mese, Spalletti rappresentava allora il volto nuovo, l'allenatore emergente del pallone italico, l'artefice principale del miracolo-Empoli. Partita dalle morbide colline di Certaldo, piccolo comune in provincia di Firenze che - probabilmente - diede i natali a Giovanni Boccaccio, la vita da mediano di Lucio, trascorsa sui campi delle serie minori con Entella, Spezia e Viareggio, si concluse nel '92-93, a 34 anni, con la maglia azzurra dell'Empoli. Non perse tempo Spalletti. Smessi gli scarpini, proprio nella cittadina toscana, a pochi chilometri da casa - che si era spostata prima a Sovigliana e poi a Montespertoli -, cominciò immediatamente l'avventura da tecnico, ben presto culminata con l'esaltante doppio salto, dalla C1 alla Serie A, in tre campionati e con la storica salvezza ottenuta in massima serie nel memorabile '97-98. Poi - come detto - l'approdo al Doria.
Prima di tutto vi fu l'Intertoto. Per tornare in Coppa Uefa, orfana dei partenti Mihajlovic, Veron e Boghossian, una rimaneggiata formazione blucerchiata partecipò alla sconosciuta competizione europea. Con tutti gli accorgimenti e le incognite del caso: ritiro anticipato, preparazione modificata e sfide con retour-match ravvicinato complicarono la vita di Spalletti e collaboratori, all'esordio in una realtà profondamente differente dalla provincia di Empoli. La Samp, trascinata dal solito Montella e da Checco Palmieri, appena arrivato da Lecce, si sbarazzò prima degli slovacchi del Tauris Rimavska Sobota e poi dei belgi dell'Harelbeke ma, in semifinale, trovò sul proprio cammino il Bologna di Carletto Mazzone che la eliminò dal torneo.
L'ingaggio dal Valencia del talentuoso numero 10 argentino Ariel Ortega alleviò la delusione procurata dai rossoblù felsinei, e ci si buttò quindi a capofitto nel campionato. La malasorte, però, stava in agguato. Vincenzo Montella, capitano e leader della squadra, nonché ex compagno del tecnico di Certaldo ai tempi di Empoli, fu ben presto costretto ad un intervento chirurgico alla caviglia destra. Un timido ed inesperto Spalletti dovette così rinunciare al bomber napoletano e fare i conti con una rosa quasi imbarazzante ed uno spogliatoio spaccato in clan: Cate, Cordoba, Zivkovic, Ficini si rivelarono acquisti inopportuni; chi avrebbe dovuto elevare la qualità dell'organico (Sgrò, forse lo stesso Ortega) non rispose alle attese; alcuni senatori (Mannini su tutti) non fecero mistero della propria insoddisfazione. Cocktail distruttivo, questo.
E a sorpresa, il Doria si ritrovò fin dalle prime giornate invischiato nella lotta per non retrocedere. A poco servirono alla causa gli innesti ottobrini di Lassissi e Pecchia: i blucerchiati furono sbattuti fuori dalla Coppa Italia nuovamente per mano del Bologna e, il 13 dicembre del '98, dopo la pesante goleada subita dalla Lazio (5-2), Spalletti venne esonerato, non arrivando quindi a mangiare il celeberrimo panettone natalizio. In realtà, il mister toscano, fece in tempo a gustare le bugie di Carnevale perché l'accoppiata Platt-Veneri che prese il suo posto riuscì, con soltanto 3 punti raccolti in sei giornate, a fare peggio di lui, portando la Samp da quintultima a penultima in classifica. Erano i primi di febbraio. Nel frattempo, l'Aeroplanino Montella era tornato a decollare, Enrico Mantovani aveva acquistato il regista brasiliano Doriva ma si era inimicato il “Palazzo” - già non troppo indulgente nei confronti del presidente doriano - per aver ingaggiato un allenatore (Platt) senza patentino. Palazzo a parte, la situazione non appariva così drammatica anche perché lo Spalletti-bis si dimostrò un mister differente, maturato, più deciso, fermo nelle proprie convinzioni.
Tra alti e bassi, il Doria arrivò così al penultimo turno di campionato con l'obbligo di vincere per sperare ancora nella salvezza. Guarda caso, sulla strada blucerchiata - per la sesta volta dall'inizio della stagione! - il Bologna di Mazzone. Era il 16 maggio '99. Un gol per tempo di Montella portò i suoi sul 2-1 ma, al minuto 94, la “mano nera” del Potere si materializzò e assunse un volto, un nome ed un cognome: Alfredo Trentalange di Torino, arbitro. La storia è nota: Simutenkov svenne in area doriana, il fischietto assegnò il penalty che il freddissimo svedesone Ingesson trasformò alle spalle di Ferron. 2-2 e retrocessione in B. Samp all'Inferno dopo diciassette anni. Per migliaia di tifosi blucerchiati una ferita dolorosa ed indelebile; per Lucio Spalletti la più grande delusione della carriera. Delusione mai digerita, che non ha mai nascosto di volere, un giorno o l'altro, riscattare.
Federico Berlingheri
(Goal.com, 20 dicembre 2007)
mercoledì 19 dicembre 2007
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3 commenti:
Già ricordo benissimo quella stagione...ma è proprio da allora che riconobbi piu che mai la mia profonda fede verso questi magnifici colori!
Ciao Fede...Ciao a TUTTI!
Mi auguro di poter un giorno seguire Mister Spalletti nella guida della Sampdoria. Mi ricordo bene di lui in quella staggione e il caso di ritornare sulla panchina del Doria, dopo essere esonerato. Purtroppo non è stato un momento positivo per lui. Fortunatamente oggi, diverso di quei tempi, Luciano ha dimostrato di essere uno dei migliori allenatori del vostro calcio.
Ciao!
Ciao a tutti,
esatto, stagione assai sfortunata in cui il buon Spalletti pagò l'inesperienza in una piazza importante. Furono commessi tanti errori in società, si rivelò un anno balordo per svariati motivi, ma - come testimoniato a posteriori dalle vicende di Moggiopoli e da Enrico Mantovani in persona in tempi recenti - ci fu dell'altro... Dell'altro pagato a caro prezzo senza che quella Sampdoria e quel presidente venissero mai risarciti di nulla. Almeno nelle memorie dei tifosi doriani, forse, un risarcimento lo meriterebbero.
A presto, F.
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