Col quasi compaesano Di Natale forma una delle coppie più forti della Serie A, ma anche una delle meno forbite. L'eloquenza e la dialettica non rappresentano difatti le prerogative migliori di Fabio Quagliarella e - soprattutto - del suo compagno di reparto bianconero, sempre in bilico, nel bel mezzo delle interviste di rito, tra strafalcioni grammaticali o bisticci con i congiuntivi. Ma, d'altro canto, a calciofili, tifosi e addetti ai lavori dell'Italiano poco interessa: l'importante è parlare sul campo la lingua dei fuoriclasse, e quella ad Udine la si parla senza possibilità di smentita.
Già, perché Quaglia, dopo un avvio stentato, anche nel freddo - in tutti i sensi - Nord-Est, sta confermando tutto ciò che di aveva fatto di grandioso nell'ultima sensazionale annata in maglia blucerchiata, e sta confermandosi come uno dei migliori centravanti - non solo italiani - in circolazione. Tecnico, rapido, fulmineo, sgusciante e guizzante, capace di vedere la porta come pochi altri: il solito Quagliarella insomma, il quale, a riprova della propria duttilità, due degli ultimi tre gol - quello a Firenze e quello di domenica scorsa contro la Roma - li ha segnati nell'inedito ruolo di punta centrale nel tridente disegnato da Marino. Due gol d'autore, quelli citati, che non possono non ridestare ai tifosi doriani la malinconica memoria di quello scugnizzo di Castellammare col numero 27 sulla schiena, di quella sua fugace e magica esperienza genovese. Pallonetti, serpentine, rovesciate, colpi di testa, tiri al volo, bombe da quaranta metri: un repertorio da campione, un cocktail vincente, esplosivo tra la potenza folgorante di Enrico Chiesa e la classe vivida di Vincenzo Montella. Malgrado la pochezza generale dell'ultima Sampdoria targata Novellino, Quaglia, il ragazzo acqua e sapone giunto in Liguria - con Pieri in cambio della metà di Lillo Foti - per fare apprendistato, era divenuto l'unico in grado di far sognare, il solo capace di entusiasmare e accendere Marassi d'entusiasmo dopo la squalifica di Francesco Flachi.
Tra campionato e Coppa Italia, furono 14 le sue mai banali marcature, ma il sogno di un idillio blucerchiato svanì una sera di quasi estate. Era il 6 giugno scorso, girone di qualificazione per l'Europeo 2008. Con la divisa azzurra dell'Italia, grazie a due perle da cineteca nel giro di un quarto d'ora, Fabio fece volare i ragazzi di Donadoni al “Darius & Girėnas Stadium” di Kaunas, contro i lituani padroni di casa. Da provinciale semisconosciuto a eroe nazionale il passo fu breve - anzi, brevissimo - e l'Udinese, comproprietaria del suo cartellino, decise allora di giocare sporco. Nonostante il gentlemen's agreement, per il rinnovo della compartecipazione e la conseguente permanenza al Doria, fosse già concreto, l'esito delle buste cancellò l'illusione. I blucerchiati scrissero 6 milioni e mezzo, i friulani 7,3 e Quagliarella, di malavoglia, volò via. Rabbia, delusione, sconforto si susseguirono in città dopo quell'amaro pomeriggio del 22 giugno 2007, allorché l'ingaggio di un certo Antonio Cassano pareva ancora puro fantacalcio. Poi, però, Beppe Marotta fece in modo di tramutarlo in realtà. E oggi, anche senza il genio di Quaglia, ci si “consola” - si fa, ovviamente, per dire - col talento di Barivecchia, un altro che non avrà un'oratoria ciceroniana ma che con il pallone tra i piedi ci sa fare eccome.
Federico Berlingheri
(Il Giornale, 11 dicembre 2007)
domenica 9 dicembre 2007
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