sabato 9 febbraio 2008

Sul bel Galante la colpa di un rigore

Dodici anni da narrare l’uno all’altro. Fabio Galante e il Genoa: tanto ci sarebbe da raccontare e raccontarsi da quando quel giovane e aitante centrale di Montecatini passò dal Grifone spinelliano alla seconda Inter di Moratti junior. Era l’estate del ’96 e il bel difensore classe 1973, giunto tre stagioni prima da Empoli, salutò tutti con all’attivo 90 presenze e 9 reti in rossoblù. Se ne andò così a rinforzare la difesa titolare della Beneamata nerazzurra - con cui conquistò la Coppa Uefa nel ’98 -, poi quella del Toro ed infine quella del Livorno, ma sulla sponda genoana del Bisagno non lo si rimpianse mai del tutto.

Nella mente e negli animi di coloro che hanno a cuore le sorti del Vecchio Balordo, più che quell’1-1 segnato alla Juve, a domicilio, il 13 marzo ’94, più che quell’inutile gol nel Derby del 4 dicembre dello stesso anno, rimase piuttosto un calcio di rigore mandato alle ortiche in un uggioso tardo pomeriggio fiorentino di metà giugno ’95. Stadio “Artemio Franchi”: lo scenario è quello thrilling di Genoa-Padova, drammatico spareggio per rimanere in massima serie. La pioggia, l’ansia, l’attesa, la tensione che si taglia a fette. Le bandiere rossoblù. Il vantaggio patavino di Vlaovic, il quasi immediato pareggio Skuhravy. I tempi regolamentari che si chiudono sull’1-1, i supplementari che non si schiodano dal pari e l’adrenalina che sale a mille in quella che si definisce la lotteria finale. La sequenza mette i brividi ancora oggi: Van’t Schip gol, Fontana parato, Ruotolo gol, Cuicchi gol, Marcolin parato, Perrone gol, Bortolazzi gol, Vlaovic gol, Skurahvy gol, Balleri gol, Galante fuori, Kreek gol. Sul Grifo e sul centrale toscano cascò il mondo addosso.

Ripartire, insieme, da un piattone calciato oltre la traversa, non fu semplice. Tutt’altro. Il bel Fabio finì nel mirino dei contestatori, capro espiatorio di un tracollo annunciato ma mai pienamente digerito. E la separazione, con un anno di ritardo, con una mancata promozione ad inasprire ancor di più i toni, non fece altro che confermare che qualcosa s’era incrinato. Definitivamente.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 9 febbraio 2008)

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