giovedì 28 febbraio 2008

WAN, mi ritorni in mente

Secondo solo a Vujadin Boskov, più presente di Fulvio Bernardini. Centottantasei panchine in campionato (più altre trentaquattro tra Coppa Italia e Uefa) saranno difficili da dimenticare. Così come il suo essere meticoloso, istintivo, sanguigno. Pignolo ai limiti della sopportazione, testardo ai limiti della cocciutaggine; aziendalista sì ma ultimamente neanche troppo convinto. In cinque anni a Genova, in cinque anni di Sampdoria, Walter Alfredo Novellino ha dato e ricevuto tanto, ha riscosso elogi e attirato critiche, ha suscitato apprezzamenti e scatenato - o rinfocolato - antipatie. Personaggio schietto, all'opposto di un maestro di oratoria, mai troppo a proprio agio davanti a taccuini e telecamere, Monzon è riuscito comunque a farsi amare. Mai, nella sua vita da mister, gli era capitato di rimanere in sella alla stessa panchina per più di due stagioni.

Al Doria, fino all'inevitabile separazione avvenuta lo scorso giugno, aveva aperto un ciclo, trovato l'habitat ideale, in campo e fuori, aveva rigenerato uomini e calciatori: aveva - insomma - compiuto una serie invidiabile di miracoli pallonari. Il tutto - sia chiaro - ritrovandosi spesso e volentieri a fare di necessità virtù, le classiche nozze coi fichi secchi, costretto a confrontarsi con rose e parchi giocatori ridotti all'osso, sia sul piano numerico sia in tema di tasso tecnico, di classe. Fatto sta che, tra carenze d'organico, squalifiche (Flachi in primis), infortuni seri (su tutti quelli occorsi a Falcone, Bazzani e Bonazzoli) e acciacchi vari, le ultime due annate alla guida della ciurma doriana si sono rivelate avare di soddisfazioni, di guizzi, di ambizioni, povere di sogni e di quelle fantasie che per un certo periodo erano volate libere. Troppo poco la doppia semifinale di Coppa Italia persa contro l'Inter, troppo poco l'accesso all'Intertoto nello scorso campionato.

E così le prime tre esaltanti stagioni - promozione in Serie A con tanto di “tre su tre” nei derby del 2003, Coppa Uefa accarezzata nel 2004, quarto posto e Champions League sfiorati nel 2005 - hanno quasi finito per venire offuscate dal tedio, dal grigiore degli ultimi tempi e lasciar inesorabilmente spazio ad un crescente malcontento in tutto l'ambiente blucerchiato. Plausibile certo: la qualità del gioco, ancorato all'insistente ed obsoleta ortodossia del 4-4-2, ha sovente latitato; di scelte biasimevoli - alle soglie della belinata - ne ha fatte, e parecchie, anche lui (vedi, ad esempio, cacciare in fretta e furia i vari Domizzi, il primo Delvecchio e Borriello, costringere Doni a fare l'esterno, ecc.).

Ma al tecnico di Montemarano non si possono imputare ulteriori colpe o responsabilità: il sarto - si diceva in tempi non sospetti - usa la stoffa che ha e di stoffa - occorre ammetterlo con estrema serenità - Novellino ne ha sempre avuta a disposizione troppo poca e troppo grezza. Un'ala destra di ruolo non l'ha mai vista, Flachi a parte, gente come Cassano, Montella o il richiestissimo Chino Recoba se l'è sempre sognata. E, anche per questo, pur con tutti i suoi limiti, le sue manie, i suoi modi da burbero brusco e scontroso, i sostenitori della Sampdoria - come dimostrato lo scorso 20 maggio in occasione dell'ultimo match casalingo sulla panchina blucerchiata contro il Catania - non potranno mai scordarsi di lui.

Federico Berlingheri

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