venerdì 16 maggio 2008

Un napoletano atipico: "Willy" Stendardo

Pensi ai calciatori meridionali e ti vengono in mente i soliti luoghi comuni: povertà, sacrifici, studio scarso, situazioni familiari ed economiche non delle più semplici. Concetti facili e abusati, questi, ricorrenti per lo più per i ragazzi campani, coloro che, originari di Napoli e dintorni, cresciuti a pane e pallone di cuoio, ripongono tutti i propri sogni nell’emergere, nel calcio, ad alti livelli. Non è questo, però, il caso di Guglielmo Willy Stendardo, difensore (panchinaro) della Juventus, l’eccezione che conferma la regola.

Figlio di un agente assicurativo laureato in sociologia e di un medico della Asl di Agropoli, maggiore di tre fratelli, Willy nasce e cresce - e quanto cresce! - al Vomero, collinare quartiere “bene” partenopeo. Mentre Diego Armando Maradona trascina i suoi nel gotha del calcio tricolore e non solo, Stendardo, classe 1981, comincia la sua trafila nel florido vivaio del Napoli dell’epoca. Dall’età di otto anni, da quando entra nel settore giovanile azzurro, per via della stazza già superiore alla media, viene piazzato al centro della difesa: nel gioco aereo non ce n’è per nessuno, di testa sono tutte sue. Napoletano atipico, pacato e riflessivo, Guglielmo si diletta a prendere a calci una sfera, ma la scuola non la dimentica: mentre frequenta il liceo scientifico, Vincenzo Montefusco, ex mister della Primavera chiamato - invano - a risollevare le sorti di Taglialatela e compagni, lo fa esordire in Serie A il 16 maggio ’98, a diciassette anni appena compiuti. Ultima di campionato, Napoli (già in B) e Bari fanno 2-2 e lì, con l’emozione di debuttare al “San Paolo”, il ragazzone campano di 190 centimetri chiude l’avventura azzurra per aprire quella blucerchiata.

Ingaggiato da Enrico Mantovani, si trasferisce a Genova, gioca 25 partite con la Primavera di Giovanni Re e l’anno dopo, con la Sampdoria retrocessa in B, gli si spalancano le porte della prima squadra. Parte la Coppa Italia e Giampiero Ventura gli dà subito fiducia: fisico da far paura, risoluto e autoritario, Willy, centrale nella retroguardia a tre disegnata dal mister di Cornigliano, fa vedere di che pasta è fatto; ma - troppo giovane e ancora grezzo - nel prosieguo di stagione giocherà pochino. Fallita l’immediata risalita e consumato l’avvicendamento in panchina - Gigi Cagni sostituisce Ventura -, il Doria gli dà ancora fiducia. Per Stendardo, iscrittosi nel frattempo alla facoltà di Giurisprudenza - a tutt’oggi gli mancano pochi esami alla laurea - e accaparratosi il numero 17 in barba alla scaramanzia, è l’annata migliore: saranno 19, a fine anno, le convincenti apparizioni da cerchiato di blu. Vent’anni, un luminoso avvenire sportivo e non, l’ambiente se lo coccola e i paragoni illustri cominciano a sprecarsi.

Nel 2001-02, però, ancora in Serie B, il perpetuo crescendo del buon Guglielmo s’arresta bruscamente. Cagni - il quale lo aveva provato centravanti negli istanti finali dello sciagurato 1-1 casalingo col Cosenza - viene esonerato dopo quattro giornate; lo sostituisce Gianfranco Bellotto e per Willy verranno tempi duri (8 presenze in quell’anno travagliato). Le difficoltà non finiranno poi nel 2002-03, con Walter Novellino timoniere. Monzon gli concede soltanto 3 gettoni in Coppa Italia, prima di lasciarlo partire a gennaio, dopo 47 presenze totali (33 in B, 14 in Coppa Italia), alla Salernitana, rampa di lancio di una carriera ancora incompiuta e, forse, al di sotto delle reali potenzialità.

Federico Berlingheri
(Il Giornale, 16 maggio 2008)

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