venerdì 23 gennaio 2009

Rubinho vola col Grifone e spera in Dunga: «Se volesse chiamarmi...»

GENOVA - I minuti di imbattibilità sono arrivati a quota 343, la sua porta è tra le meno perforate dell’intera Serie A e dal Brasile giungono le prime avvisaglie di una possibile convocazione nella Seleção verdeoro. Ma lui, come consuetudine, non si scompone. “Se Dunga volesse spendere tre lire per chiamarmi, sarei contento” dice. Il lui in questione è Rubens Fernando Moedim, noto ai più come Rubinho, e non è tipo da lasciarsi andare a facili entusiasmi. Modi pacati, parole buone per tutti, flemma che lo allontana anni luce dal comune stereotipo portiere-pazzo o guascone o estroverso. Il numero 83 del Genoa arriva nella sala stampa di Villa Rostan in ciabatte e calzoncini, tanto per far capire come il look, per gente come lui, passi in secondo piano. Va bene che lo si è visto presenziare alle sfilate milanesi (“Posso fare il modello di schiena…”), ma a fare l’indossatore, con quell’aspetto da primo e sbarbato Francesco Guccini, non ci pensa proprio.

Pensa al suo Genoa, invece, quarto in classifica al giro di boa e sempre più compatto nella rincorsa dell’obbiettivo europeo. “Stiamo facendo bene, alla grande - attacca Rubinho - e proveremo a continuare così. I pochi gol che subisco? Qui anche gli attaccanti esterni arretrano e vengono a dare una grossa mano dietro. Il merito è anche loro e frutto di un lavoro di squadra che coinvolge tutti”.

Un lavoro duro (“Non penso che esistano squadre che s’allenano come noi, due ore al giorno con questa intensità”) ma, visti i risultati, del quale non si può essere che soddisfatti: “Sì, ma non ci dobbiamo accontentare. Dobbiamo migliorare sempre, sbaglieremmo a pensare di essere al top. Nel girone di ritorno saremo più temuti e per rimanere su questa strada dovremo dare ancora di più”.

Dove può fare di più il Rubinho di questi tempi pare difficile dirlo, anche perché il climax di prestazioni - fatta salva la papera con la Lazio - è sotto gli occhi di tutti. “In effetti mi sento più sicuro rispetto all’anno scorso. Ho cambiato modo di rinviare, cerco di capire di più le giocate degli avversari e non ho ancora subito reti su punizione. Nelle uscite poi, se prima andavo coi pugni e anche con un po’ di timore, ora cerco sempre la presa. Direi che quest’anno sono migliorato”.

Merito suo - senza dubbio -, ma anche del preparatore Gianluca Spinelli, che in questi due anni e mezzo ne ha seguiti i progressi, giorno dopo giorno, seduta dopo seduta. “Se oggi sono quello che sono - ammette il portiere paulista - lo devo certamente a Spino e al lavoro che mi ha fatto e mi fa fare. Al martedì, ad esempio, ci mostra video nostri e di altri portieri, ci fa capire gli errori e ci spiega come correggerli: a mio avviso è il migliore nel suo mestiere”.

E poi c’è Alessio Scarpi, suo fedele dodicesimo da ormai tre stagioni: “Scarpi mi aiuta tantissimo e per lui ho fatto piangere mio figlio. Quando contro l’Inter ha parato il rigore, io e mia moglie, davanti alla televisione, ci siamo messi ad urlare e il bambino s’è preso uno spavento incredibile… Scherzi a parte, penso che sia il giocatore più rispettato dall’intera rosa, è un grande portiere e un grande compagno”.

Lo stesso Scarpi ha proseguito ieri in piscina il lavoro differenziato degli ultimi giorni. A parte anche Gasbarroni, Paro e Palladino (l’attaccante partenopeo s’è rivisto al “Signorini” sorridente e con gli scarpini chiodati ai piedi, buon segno in prospettiva di un rientro in gruppo che s’avvicina a passi spediti) ai quali si è aggiunto Thiago Motta, che ha svolto un lavoro personalizzato programmato dallo staff medico. Sotto il terso cielo pegliese e di fronte a un buon pubblico, il resto della truppa rossoblù di Gian Piero Gasperini ha svolto una doppia seduta, senza sostanziali differenze tra mattino e pomeriggio: tanta palestra agli ordini dei preparatori atletici Pilati e Trucchi e tante partitelle, nelle quali a farla da padrone ci ha pensato Diego Milito, autore di una tripletta e scalpitante in vista del Catania.

Federico Berlingheri
(il Giornale, 23 gennaio 2008)

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